sabato 13 settembre 2008

PER GABRIELE

Cara/o amica/o di Gabriele,

ti scriviamo queste poche righe per informarti della prossima iniziativa indetta in nome del nostro amato Gabbo.

Trascorsi 10 mesi dall’assassinio di Gabriele Sandri, trovandoci a ridosso della ripresa del processo di Arezzo che vede imputato l’agente scelto della Polizia di Stato Luigi Spaccarotella (accusato di omicidio volontario), per rompere il muro di silenzio che inspiegabilmente è stato calato sul delitto dell’A1, ti informiamo che il 22 SETTEMBRE 2008 uscirà nelle migliori librerie d’Italia un LIBRO VERITA’ con l’obiettivo di ricostruire i tragici accadimenti dell’11 Novembre 2007, facendo finalmente chiarezza sui troppi equivoci legati al caso, contribuendo così anche alle attività della Fondazione Gabriele Sandri.

E’ importante sottolineare che il libro è stato autorizzato dalla famiglia Sandri.

Certi che tu possa accogliere favorevolmente la comunicazione, ti invitiamo a diffondere il più possibile questa notizia.

Grazie!
GIUSTIZIA PER GABRIELE
www.gabrielesandri.it

domenica 7 settembre 2008

DEDICATO A TE NUOVO CIRCONCISO NELLO SPIRITO

C’è chi è rimasto lo stesso….
C’è invece chi oggi pensa alla sua tranquilla esistenza borghese, fatta di bricolage casalingo, sabati con la moglie al supermercato, ad a scrivere con cura tutte le sue spese sul suo quadernetto da “uomo del banco dei pegni”. Chi sfoga la sua ribellione andando allo stadio e credendosi vittima del sistema, quando ne è una colonna portante. Che piange per un Papa polacco, dimenticandosi d’avere una volta abiurato l’inganno del Galileo. Che ha fatto suo il detto di Karl Marx: “il problema ebraico non esisterà più quando tutti si comporteranno da ebrei”. Chi piange di continuo di dover pagare le tasse come un giudeo al muro del pianto. E vivendo (vegetando?) fiero delle proprie conquiste (casa, auto, lamentele sulle moschee, sui cani che pisciano nelle aiuole, sui negri solo perché sono negri) vive tranquillo fregandosene dei crimini dell’Impero e piangendo i soldati e gli sbirri morti agli ordini della Nato, magari perché avevano una croce celtica al collo, ma erano circoncisi nella testa e nello spirito.
A te, amico invecchiato e rinnegato, il saluto di “ una vecchia canaglia” che continua ad avere vent’anni….ed uno scritto di Evola che spero ti faccia pensare e star male.

Peraltro, l’accennata inconsistenza non riguarda quei problemi in senso superiore, che non si presentano ad ogni momento della vita. Essa è caratteristica fin nelle piccole cose della esistenza ordinaria. Si tratta, ad esempio, della incapacità di mantenere un impegno, la parola data, la direzione presa, un dato proposito (scrivere, telefonare, rispondere, occuparsi di una certa cosa). Rispetto a tutto ciò che lega, che implica qualcosa di impegnativo di fronte a se stessi, il tipo in questione è insofferente. Cioè: dice, ma non fa, o fa un’altra cosa, sfugge – e il comportarsi così gli sembra naturale, ineccepibile. Si meraviglia perfino, quando qualcuno da ciò si sente urtato e glielo rinfacci.
La generalità di una tale attitudine è preoccupante. Nei tempi ultimi essa ha fatto presa in strati sociali, nei quali fino ad ieri predominava una linea abbastanza diversa: come fra l’aristocrazia e l’artigianato. Lo sfuggire, il promettere senza mantenere, la non puntualità, l’evasione anche in cose piccole e stupide, si riscontrano anche qui, frequentissime. E vale notare un punto importante: non è che si sia così deliberatamente, ad esempio, per seguire senza scrupoli il proprio tornaconto. No, si è così in via spontanea, talvolta perfino a proprio danno, per un vero cedimento interiore. È per tal via che molti che ieri ci si illudeva di conoscere a fondo, e che ci erano amici, oggi non si riconoscono quasi più. È, si potrebbe dire, un fatto “esistenziale” più forte di loro, tanto che spesso essi non se ne rendono nemmeno conto.
Il fenomeno potrebbe esser seguito anche nelle sue ripercussioni in sede di struttura psichica. L’uomo della “razza sfuggente” accusa infatti una vera e propria alterazione psicologica. Nel riguardo, potrebbero essere utilizzate le considerazioni fatte dal Weininger circa il nesso esistente fra eticità, logica e memoria. In un tipo normale, le tre cose sono unite insieme, perché il carattere esprime quella stessa coerenza interna, che si manifesta altresì nel rigore logico e in quella unità di vita, che permette di ricordarsi, di mantenersi in una mèmore, cosciente connessione col proprio passato. Secondo il Weininger, proprio questa unità delle facoltà caratterizza la psicologia maschile di fronte a quella femminile, la quale di massima è invece fluida, poco logica, incoordinata, fatta di impulsi più che di rigore logico ed etico.
Ebbene a tale riguardo “l’uomo della razza sfuggente” appare più donna che uomo. Ulteriori suoi tratti caratteristici psicologici, che fanno da controparte all’accennata “anestesia morale”, sono la menomazione della memoria, la facilità di dimenticarsi, la difficoltà di concentrarsi, spesso perfino di seguire un ragionamento serrato e stringente, la distrazione,il pensare a balzi. Sono visibilmente, gli effetti di una parziale disgregazione che, dal piano dei principii e del carattere, son passati a ripercuotersi perfino in quello delle facoltà in se stesse.

LA BALLATA DEI SUICIDI

LA BALLATA DEI SUICIDI

LA BALLATA DEI SUICIDI

Lascia che sia fiorito, Signore, il suo sentiero
quando a Te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare,
quando verrà al Tuo cielo,
là dove in pieno giorno risplendono le stelle.

Fabrizio De Andrè


Una lunga, interminabile teoria di morti si snoda lungo i sentieri maledetti che segnano le cronache giudiziarie della Colonia Italia. Dove i suicidi in carcere si coniugano con i “suicidati”, senza che i paletti di confine, tra chi muore di carcere ed in carcere e chi invece fuori delle mura infami sceglie di farla finita, siano ben segnalati. Talvolta c’è chi sceglie per lui. Recitando poi omelie funebri o cianciando cialtronescamente di vie della fuga.

Ricordate l’Uomo di Montenero di Bisacce? “Questa storia dei suicidi a orologeria sta assumendo i toni dell’estremo ricatto verso la giustizia da parte di chi, dovendo risponderle, preferisce uccidersi anziché affrontarla”.

Certo. Io mi uccido per fare dispetto al mio inquisitore e per sfuggire a qualche eventuale anno di galera…Io mi tolgo la vita per non affrontare la “giustizia”…Così la frego e creo un precedente da ”emulare”. Suicidi a orologeria? Solo uno psicopatico può sostenere bestialità di tal fatta. Uno psicopatico che, oltretutto, si è reso colpevole della morte di imputati ancorché innocenti. E che poi, quando toccò a lui, mollò la toga e si rifugiò nella politica. Sul Mugello, terra di compagni di merende. Sfruttando la galera (con tanto di corollario di suicidi) che aveva regalato ai nemici degli amici sempre politically corrects e quindi liberi di fottere la legge.

SENZA ONORE

SENZA ONORE

LA DOPPIA MORALE DEI GARANTISTI DE “IL GIORNALE”

“Liberazione” difende Pierluigi Concutelli? Una gazzettiera del quotidiano berlusconiano ironizza sulla posizione assunta da Piero Sansonetti sino a fare del sarcasmo d’accatto sulla “straordinaria generosità umana” riferita all’uccisore di Occorsio.

Ovviamente ai difensori dei “lodi” non piace che possano essere assunti comportamenti garantisti nei confronti di un “nero”; e se poi a farlo è un “rosso” doc quale Sansonetti l’ironia è d’obbligo.
Questo è quanto accaduto a seguito dell’appello lanciato sull’organo di Rifondazione (Sansonetti sarà presto liquidato dalla neo-nomenklatura rifondarola) con cui si chiede la riammissione alla semilibertà di Pierluigi Concutelli ri-carcerato perché trovato in possesso di sei grammi di hashish.
Roba da uso personale e per di più terapeutico.
“Il passato è passato” e se a sostenerlo sono io in difesa delle garanzie dei compagni o se lo è il direttore di Liberazione in difesa di quelle dei camerati non è consentito “perché serve alla causa”! Siamo alla demenzialità degli spacciatori di “lodi” ai quali vorrei soltanto ricordare che rivolgersi alla Commissione europea per i diritti dell’uomo non è un’optional ma un dovere quando si è in presenza di una palese e gratuita ingiustizia. “Si può far tornare in dietro nel tempo chi ha già conosciuto sulla propria pelle (e per 31 anni, ndr) i labirinti e i circuiti del sistema carcerario italiano?”. Che certe professorine tengano sempre ben presente che il garantismo o è o non è: su questo giornale noi abbiamo difeso i diritti di tutti coloro che sono stati oggetto delle ingiustizie e delle prevaricazioni giudiziarie. Abbiamo difeso persino Adriano Sofri che dal suo carcere dorato è passato ad una libertà totale senza dover fare il volontariato come “camposantaro”. Ed abbiamo – doverosamente – difeso Cesare Previti e quanti altri hanno subito la violenza della sedicente legge. E continueremo a farlo. Per tutti. E non parliamo di Onore. Chiaro?
Paolo Signorelli

il molisano

Lodi poco lodevoli, referendum improbabili e demagogia populistica: questo è ormai lo stato “molisano” della giustizia.

In uno scenario dove fomelicamente e famelicamente si agitano le ciurmaglie raccogliticce di servi, allevate nelle segreterie dei partiti ed inviate a gestire il potere in nome e per conto dei loro padroni, è facilmente dato imbattersi in personaggi che senza vergogna alcuna recitano la parte dei difensori dei diritti del Popolo.

Uno su tutti: quel Ninì Di Pietro che con il suo linguaggio rozzo ed incomprensibile si erge a fustigatore degli altrui vizi dimenticandosi delle sue innumerevoli private “virtù”. Lui che in una lettera scritta(gli) all’ accumulatore di danaro Beppe Grillo si richiama allo “spegnersi della coscienza, della morale e dell’etica” senza mai, naturalmente, fare menzione ai suoi “innumerevoli processi” di cui vi è traccia sulle carte della profana giustizia e su quelle di un altrettanto profano Parlamento.

Eppure c’è chi guarda all’Uomo di Montenero di Bisacce come ad un taumaturgo capace di sconfiggere il malcostume berlusconiano e di ridare al Paese una dimensione etica espropriatagli dai tenutari del potere. Che a ben guardare rimane ben saldo nelle mani della Casta giudiziaria - e liberale e finto progressista – di cui Di Pietro si fa portabandiera: da quando andò sul Mugello a fare il “compagno di merende” di un riconoscente D’Alema per sfuggire ad un non improbabile arresto.

Eppure tra coloro che si avvicinano a Di Pietro per appoggiare la raccolta delle firme per un improbabile (è già slittato al 2110) referendum troviamo sedicenti antagonisti che guardano ad un impudente molisano come ad un salvatore della Patria. Quale Patria? Quella in cui la legge viene quotidianamente stuprata dagli uomini delle Caste? Quella in cui un “pentito” come Giuliano Amato viene disinvoltamente riciclato dall’ex duro e puro Gianni Alemanno?

La facciano finita costoro: che almeno l’Estetica sia salva.

Paolo Signorelli

martedì 2 settembre 2008

Controinformazione 2

Il ministro degli esteri britannico, David Miliband, è stato uno dei più veementi a denunciare la reazione militare russa contro la Georgia. Anche David Miliband (come poteva esserci sfuggito?) è ebreo.E che ebreo.Ce lo ricorda l’ottimo giornalista e saggista John Laughland, spiegandoci che l’odio di David per la Russia è scritto nel suo DNA (1).Suo nonno, Samuel Miliband, era un esponente comunista polacco; benchè nato a Varsavia, da fiero internazionalista, si arruolò nell’Armata Rossa per combattere i polacchi. Ma quando Stalin rafforzò il suo potere a Mosca, lasciò l’Unione Sovietica per motivi ideologici: come tutti i fedelissimi di Trotszky, era contrario alla politica staliniana di «comunismo in un solo paese». Voleva la rivoluzione mondiale permanente. Samuel il trotzskista si stabilì in Belgio.Suo figlio, Adolphe Miliband, padre dell’attuale capo del Foreign Office, nacque in Belgio; ma poi passò a Londra dove - con il nuovo nome di Ralph Miliband - è diventato un famoso teorico marxista; tanto convinto da voler essere sepolto nel cimitero di Highgate accanto alla tomba di Karl Marx.Suo figlio David, il ministro, ha abbracciato l’ideologia dei neoconservatori israelo-americani, ed è uno dei responsabili dell’impegno bellico britannico in Afghanistan ed Iraq.Come si vede, è il percorso tipico di tanti ebrei che conosciamo, da Ferrara alla Nirenstein: carrieristi comunisti o ultrasinistri, oggi sono fedelissimi «conservatori» per Sion.La fedeltà di David Miliband per la sua vera patria è dimostrata: quando va in visita in Israele, trova il tempo per andare a pranzo dai suoi parenti, certi Landau, che sono fanatici militanti: hanno infatti deciso di stabilirsi in una colonia ebraica illegale a Ramallah, in Cisgiordania. Non è un caso che Tzipi Livni trovi invariabilmente i colloqui con Miliband «molto fruttuosi».Tutto ciò non è strano, nota Laughland. I veri marxisti-trotzkisti hanno trovato «la loro casa naturale nel progetto di rivoluzione democratica globale predicato da George Bush». La rivoluzione mondiale permanente sotto forma «umanitaria», per diffondere «la democrazia». Scrive Laughland: «Dal punto di vista di Miliband (e dei suoi simili), la politica occidentale degli ultimi 15 anni non è stata un atto continuo di forza bruta. L’invasione di Iraq e Afghanistan non sono state aggressioni belliche, bensì azioni altruiste per espandere la democrazia, dunque atti compiuti al servizio dell’umanità, atti cui nessuna persona ragionevole può opporsi. Chi lo fa, è un nemico dell’umanità».Così, benchè i russi abbiano difeso i diritti umani in Ossezia contro il tentato sterminio operato dai georgiani, il loro è un atto di forza bruta criminale. Perchè la Georgia è una espansione della «democrazia», ma soprattutto perchè Putin non ha invocato i diritti umani e simili universalismi ideologici - estrema versione del messianismo ebraico - a giustificazione della sua azione.E’ questo che «Miliband non può sopportare»: il fatto che Putin si muova in base a considerazioni di interesse e di sicurezza nazionale, anzichè «fare appello ai principii universali». Per questo ha accusato Putin, fra l’altro, di avere «un approccio alla politica del 19 mo secolo».Ma Putin - assicura Laughland, che l’ha recentemente incontrato insieme a vari giornalisti britannici - rigetta deliberatamente il linguaggio «umanitario», perchè ha rigettato una volta per tutte l’ideologia comunista, e non pretende più che la Russia sia portatrice di una vocazione universale. Anzi.«Quando l’ho incontrato il settembre scorso, Putin mi ha detto esplicitamente che la Russia ha sofferto troppo per aver adottato il credo universale leninista: ‘Vladimir Ilich Lenin, mi ha detto, disse una volta: la Russia non conta niente per me; quel che conta è arrivare alla rivoluzione socialista mondiale’».Per Putin, è la Russia che conta.Acuto come sempre, Laughland: sotto le forme della «nuova guerra fredda», vede riporsi lo scontro fra internazionalisti trozkisti (oggi neocon «americani») e il realismo di chi cerca di fare qualcosa «in un solo Paese».Ma Laughland cita anche Carl Schmitt il quale, citando a sua volta Proudhon, scrisse: «Chi parla a nome dell’Umanità sta cercando di ingannare».Quello dei trotzkisti (pardon, neocon) è piuttosto un auto-inganno, sostiene il giornalista inglese; la Russia d’oggi è un richiamo alla realtà.Vero. Tuttavia, sono convinto che se Hitler avesse proclamato che stava invadendo l’URSS per liberare i popoli schiacciati nei loro diritti umani dallo stalinismo, il Terzo Reich Umanitario sarebbe ancora al potere; e la vera debolezza di Putin è nella «comunicazione», ossia nella propaganda e disinformazione.Gli invasori in nome di diritti umani hanno la meglio su quel piano; e il loro controllo dei media fa sì che le cosiddette opinioni pubbliche credano, più o meno, che l’universalismo aggressivo sia una «realtà», più degna del bene «in un solo Paese».Interessante. Ma a noi, più modestamente, preme constatare che non sono solo i tre principali ministri georgiani ad essere israeliani con doppio passaporto. Anche qui in Europa abbiamo i ministri degli Esteri che ci sono stati assegnati da Sion.Kouchner è ebreo.Frattini pure.David Miliband, israeliano con parenti nei territori occupati.Sarkozy, idem.La Merkel è mezza ebrea ed allieva spionista del capo ebraicissimo della Stasi, Markus Wolf: anche lei passata dal comunismo al neoconservatorismo.Se in Europa c’è un ministro degli Esteri che non porta la kippà, vuole di grazia alzare la mano?La nostra politica estera comunitaria è data in appalto a gente che può avere sfumatore diverse di posizioni, ma il cui centro di «interesse nazionale» vero, ultimo e definitivo, sta a Tel Aviv.In Germania, in realtà, il ministro degli Esteri è il socialdemocratico Frank Walter Steinmeier (ebreo secondo alcune fonti), che sulla Georgia ha preso una posizione più filorussa di quella della Merkel (appartiene alla «mafia di Hannover», capeggiata da Helmuth Schroeder, il partito dei buoni affari con Mosca); già questo è bastato perchè, nei sondaggi la popolarità di Steinmeier salisse quasi fino a raggiungere quella della cancelliera.L’opinione pubblica tedesca sa da che parte sta il proprio interesse nazionale, e persino i media germanici esprimono quest’aria: «Basta con la russofobia», titola ad esempio Deutsche Welle, mentre Die Zeit ha sottolineato «la debolezza americana» e Der Spiegel, «La guerra del Caucaso ha assestato un colpo al prestigio americano».Ma l’universalismo democratico-umanitario è ben presidiato a Berlino, anche dai complessi di colpa tedeschi. Non c’è possibilità che una tale Europa in appalto «parli» a Mosca.Ciò forse spiega perchè Putin e Medvedev abbiano riconosciuto Abkhazia ed Ossezia del Sud: un atto così contrario al «diritto internazionale» – ossia al politicamente corretto democratico -universalista – da aver stupito persino commentatori russi non ostili. Uno di questi è Fedor Lukianov, direttore della rivista «Rossiïa v globalnoï politike» (Russia e politica globale), e noto analista.Lukianov aveva appena dichiarato al Guardian che riteneva «improbabile» un simile atto di rottura di Mosca con la cosiddetta comunità internazionale. Oggi, deve spiegare il suo errore di analisi (2).E lo spiega così: «I dirigenti russi, come la schiacciante maggioranza della società, sono sinceramente sorpresi dell’ampiezza e dell’unanimità con cui l’Occidente sostiene Saakashvili. Mosca non capisce come l’Europa e gli USA possano essersi schierati in massa a fianco di questo individuo colpevole di crimini di guerra, che ha violato tutti i principi che il ‘mondo civile’ proclama. Il fossato tra le percezioni non è mai stato così grave. Nella posizione dell’Occidente, la Russia non vede più soltanto un doppiopesismo, ma un cinismo non dissimulato, che supera il quadro della normale pratica politica. Il sentimento che è inutile discutere con le capitali occidentali hanno certo reso la posizione di Mosca più radicale».Riconoscendo le due provincie secessionista, la Russia «ha rinunciato bruscamente ad ogni tentativo di ricevere una legittimazione esterna per le sue azioni, e ha rinunciato ad agire, di fatto, nel quadro del diritto. Non confida più che nelle proprie forze, non avendo più nessuno su cui possa contare».E ancora: «Non si tratta più nemmeno della Georgia e del suo capo. La posta è notevolmente rialzata: sembra che Mosca abbia deciso di giocare il tutto per tutto e assuma il ruolo di affossatore del sistema di relazioni internazionali, strano e snaturato sotto molti aspetti, che si è instaurato nel mondo alla fine dei due decenni dopo il termine della guerra fredda».Anche Neboisa Malic, un analista serbo, dà la stessa interpretazione (3): Putin e Medvedev hanno rinunciato ad invocare il loro buon diritto «perchè l’Impero atlantico non ha mostrato nessuna intenzione di ascoltare. Esso ha ‘creato realtà’ con la forza, proclamando che tutto era legale ciò che dichiara tale, e semplicemente ha schifato le obiezioni della Russia... La risposta di Mosca è stata quella di creare la formazione della sua realtà con la forza, in una regione dove la Russia ha le armi e la NATO non ha che le parole... E’ impossibile cominicare con gente così ossessionata nel gestire le percezioni della realtà, da essere diventata incapace di riconoscere la realtà stessa. Nel mondo a rovescio dell’Impero Atlantico, il bombardamento della Serbia è stato umanitario, l’invasione dell’Irak difensiva, l’occupazione dell’Afghanistan democratica, la secessione del Kossovo legale - mentre l’intervento russo per neutralizzare l’armata georgiana e salvare gli osseti dalla pulizia etnica è stata ‘aggressione’ alla Hitler o alla Stalin. Medvedev e Putin non sono angeli, ma non hanno mai preteso di esserlo. Questa pretesa è prerogativa eslusiva dell’imperatore americano: un sintomo di follia che Bush-Cheney, Obama-Biden o McCain-Palin hanno in comune. Per loro, non importa quel che la Russia fa. Qualunque cosa non faccia l’America (e i suoi ‘alleati’) è per definizione il Male».Naturalmente la Russia, decidendo di sfidare e possibilmente affossare questo «ordine internazionale» della menzogna moralistica, si assume un rischio grave: in questa logica di radicalizzazione, la sconfitta può essere totale.Ma evidentemente, ha deciso di non poter vivere in un mondo simile. Un atto di estremo coraggio, che Solgenitsin avrebbe approvato. A meno che non ci siano anche altri motivi, venuti fuori dall’esame dei materiali militari abbandonati dagli «americani» in Georgia.Voglio citare qui un articolo apparso su TBR.News, un sito che altre volte ha mostrato di avere buone informazioni di intelligence (e a volte, informazioni sbagliate) (4).Secondo questo sito, Aleksandr Lomaia, capo del Consiglio di Sicurezza della Georgia, avrebbe ammesso che i russi detengono ancora 12 dei 22 miliziani georgiani che hano catturato a Poti. Fra essi ci sarebbero «due ebrei yemeniti in abiti arabi. Sul corpo di uno di questi, i russi che lo hanno interrogato, hanno trovato un plico di documenti, confezionati in plastica e applicati alla schiena con nastro adesivo».In questi documenti si parlerebbe «del piano israeliano di porre caccia-bombardieri israeliani nella base militare di Mameuli, a 20 chilometri a sud di Tbilisi, per un raid sulla capitale dell’Iran».La Georgia è notevolmente più vicina al sospirato bersaglio. Gli aerei da usare dovevano essere sei, secondo questo racconto. Ma dalla traduzione dei documenti in ebraico (tradotti dal GRU, lo spionaggio militare russo), risulterebbe che uno degli aerei avrebbe dovuto lanciare su Teheran «antrace militarizzato», attualmente «tenuto in custodia in speciali contenitori presso l’ambasciata USA di Tbilisi».Teheran sarebbe state avvertita da Mosca; quanto all’israeliano yemenita, sarebbe spirato durante «gli intensi interrogatori».Ripeto: questa informazione non è controllata nè controllabile. Potrebbe non esserci nulla di vero. Ma se fosse vera, ciò spiegherebbe perfettamente la decisione «radicale» di Mosca di rompere con la «comunità internazionale» che le sta facendo la morale.
1) John Laughland, «Russia and the West: a dialogue of the deaf», Brussel Journal, 27 agosto 2008.2) Fedor Loukianov, «La Russie joue très gros», Ria Novosti, 29 agosto 2008.3) Neboisa Malic, «Mistery in Moscow», Antiwar.com, 28 agosto 2008.4) Brian Harring, «Death from the skies», TBR.News, 24 agosto 2008. (Maurizio Bondet)

controinformazione 1

Alla CNN, come già sapete, Putin ha detto: «C’erano cittadini americani nell’area del conflitto durante le ostilità in Georgia. Bisogna ammettere che possono essere stati lì solo su ordine diretto dei loro capi. Qualcuno in USA ha confezionato questo conflitto per creare un vantaggio per un candidato presidenziale». [Qui l'articolo originale della CNN e il video-intervista]Poco dopo, il generale Anatoly Nogovitsyn, vice-capo dello Stato Maggiore russo, ha mostrato la copia di un passaporto americano trovato in una cantina in Sud-Ossezia tra materiale militare delle forze georgiane. Il documento è a nome di tal Michael Lee White, «un texano», ha precisato il generale. Sicuramente l’intelligence moscovita può far di più. Di certo ha prove più consistenti del coinvolgimento «americano» (per non dire Katz) nell’aggressione georgiana, a cominciare dalle intercettazioni delle comunicazioni tra gli armati di Saakashvili e i loro istruttori stranieri (1).Potrebbe esibire armamenti «americani» sequestrati, potrebbe citare gli articoli di Haaretz e le rivelazioni di Debka File sulla parte attiva che gli «americani del Katz» hanno avuto nell’istigare il Gran Kartulo.L’esibizione delle prove a carico potrebbero dar luogo a un’interessante seduta del Consiglio di Sicurezza, sicuramente più convincente del flacone di polverina bianca che il povero Colin Powell agitò davanti all’assemblea dell’ONU, sostenendo che era il famoso antrace di Saddam.Ma Mosca non sembra intenzionata ad arrivare a tanto. Si limita a mandare messaggi, come quello spedito dall’ambasciatore russo all’ONU, Vitali Churkin. Come risposta al rappresentante USA all’ONU, Daniel Wolff («americano», naturalmente), che rimproverava per l’ennesima volta la Russia di aver violato l’integrità di uno Stato sovrano, Churkin ha risposto: «Vorrei chiedere all’esimio rappresentante degli Stati Uniti, a proposito delle armi di distruzione di massa. Le avete già trovate in Iraq, oppure le state ancora cercando?».Puro sarcasmo in stile putiniano. Che però non ha presa nel cosiddetto «Occidente», dove l’umorismo in diplomazia è azzerato da mezzo secolo di politicamente corretto e di paralisi mentale da servilismo. Siccome tutti i giornalisti, analisti, trombette e trombettieri di Katz stanno ripetendo che la Russia si è «isolata», farebbe piacere vederli balbettare di fronte a prove esibite pubblicamente quanto il celebre flacone, nella sede internazionale più alta, delle mene, delle trame, dei complotti, delle «democrazie» pagate dalla CIA, dei false flag «americani» che hanno destabilizzato il mondo a cominciare dall’11 settembre.Ma Mosca si limita a far sapere alla Casa Bianca che «sa». Chi deve intendere, ha inteso. Ovviamente i trombettieri di Katz fanno finta di non capire. E si rallegrano perchè la Cina non ha dato la piena solidarietà a Mosca, quindi Pechino sta con «l’Occidente», tutto unito contro Putin…Naturalmente la Cina è terrorizzata a prender posizione contro gli USA, che sono il suo maggior cliente e il maggior debitore. Ma quel che è avvenuto a Dushanbe durante la riunione dello SCO (Shanghai Cooperation Organization) non è esattamente «l’isolamento» descritto da tormbettieri di Katz.Il presidente Medvedev ha riferito quanto segue: «Naturalmente, ho dovuto spiegare ai nostri partner ciò che è avvenuto realmente (in Ossezia), perchè il quadro dipinto da certi media occidentali, purtroppo, differiva dalla realtà: chi è stato l’aggressore, chi ha cominciato tutto, e chi ha la responsabilità morale e in definitiva giuridica di quel che è accaduto... I nostri colleghi hanno ricevuto con gratitudine queste informazioni e durante le conversazioni abbiamo concluso che tali eventi di certo non rafforzano l’ordine del mondo, e che la parte che ha cominciato l’aggressione deve ritenersi responsabile delle conseguenze... Sono molto lieto di aver potuto discutere con i colleghi e di aver ricevuto da loro questo genere di sostegno ai nostri sforzi. Confidiamo che la posizione degli Stati membri dello SCO produca una risonanza adeguata attraverso la sicurezza internazionale, e spero che ciò darà un forte segnale a coloro che cercano di giustificare l’aggressione che è stata commessa».Che fra le informazioni fornite ai «colleghi» cinesi ci siano anche le prove del coinvolgimento americano in Georgia, è più che probabile. Si sa che già prima i cinesi hanno chiesto un incontro fra il loro ambasciatore a Mosca, Liu Guchang, e il ministero degli Esteri russo. Alla fine dell’incontro, il comunicato ufficiale diceva: «La parte cinese è stata informata dei motivi politici e legali dietro la decisione russa (di riconoscere l’indipendenza di Sud-Ossezia e Abkhazia), ed ha espresso comprensione».Come ha notato Kishore Mahbubani, ex ambasciatore di Singapore all’ONU, già il fatto che la Cina non abbia protestato, ma anzi abbia espresso comprensione, è già un successo. Mahbubani fa anche notare, in un articolo pubblicato dal Financial Times, che «l’Occidente», USA ed Europa, comprende 700 milioni di abitanti, «ossia un decimo della popolazione mondiale»; il restante 90% «è sconcertato dalle lezioni morali che l’Occidente vuol dare sulla Georgia. L’America non tollererebbe che la Russia si intromettesse nella sfera geopolitica dell’America Latina; i latino-americani vedono benissimo i due-pesi due-misure applicati dagli USA. Tutti i commenti musulmani sottolineano che gli USA hanno pure invaso illegalmente l’Iraq. Nè la Cina nè l’India hanno protestato contro la Russia. Ciò dimostra quanto sia isolato l’Occidente nella sua opinione sul caso georgiano. L’Occidente deve trarre la lezione giusta. Deve cioè pensare strategicamente sui propri limiti. Dopo il crollo dell’URSS, i pensatori occidentali hanno creduto di non dover più fare compromessi geopolitici; di poter dettare i termini. Adesso devono riconoscere la realtà».Queste osservazioni del dipomatico di Singapore, che certo esprimono sentimenti maggioritari nel vasto mondo non-bianco, coincidono con un’ipotesi avanzata dagli estensori del sito Dedefensa (2). Come mai, si chiedono, Mosca non dà alcun segno di voler accedere a un compromesso con «la sola superpotenza rimasta»? Forse, si rispondono, è perchè la Russia «fa un’analisi radicale e originale del fenomeno americanista»; un’analisi non divulgata in pubblico, ma «che emerge in conversazioni informali con dirigenti russi».L’analisi dei russi sarebbe: «L’America si trova oggi in una situazione di crisi strutturale simile a quella dell’URSS prima del collasso». Schiacciato dal peso stesso dei suoi colossali armamenti, sull’orlo dell’abisso finanziario, il super Paese capitalista ha raggiunto i propri limiti storici. La sua ideologia, il capitalismo, è nella fase terminale, del saccheggio e della devastazione; non ha più i mezzi per il dominio egemonico mondiale progettato nel 2000 dal pensatoio di Katz nominatosi «Project for a New American Century», e dei similari deliri di potere mondiale dei neocon.La Russia s’è ripresa il dominio nel Mar Nero, occupando il porto di Poti, senza che gli USA possano far niente, se non dare l’ordine di suonare ai trombettieri e gazzettieri occidentali. L’Europa servile sta facendo figure patetiche, prima minacciando sanzioni anti-russe e poi (per bocca di Katz Kouchner) rimangiandosele.Insomma è cominciata una fase nuova; dove non contano le «narrative» mediatiche occidentali, ma i fatti compiuti; mentre l’America può crollare come una statua di sabbia alla minima scossa, proprio come l’URSS schiacciata dalla sua corazza militare, che non poteva permettersi.Se l’ipotesi è giusta, Putin non ha che fare piccole mosse, come il giocatore di scacchi cui basta muovere un alfiere per fare «matto». L’appoggio della Cina conta meno dell’accordo firmato per un sistema di sicurezza antimissile congiunto con la Bielorussia - Paese insignificante retto dal dittatore filo-moscovita Lukashenko, ma dotato di parecchie batterie di SS-300 in piena efficienza, e che sta per comprare i nuovi SS-400, che la Russia renderà disponibili dal 2010 (3).E’ la risposta al sistema antimissile che la Polonia ha voluto accettare dagli americani, credendo che siano in grado di difenderla. La stessa Polonia che ora vuole «governare» la grossa e flaccida Europa, a nome degli USA, e spingerla a decretare ridicole sanzioni contro Mosca.Non so se sfugga l’ironia della cosa: a forza di servire gli americani, ci troviamo a rischio di farci dettare la politica da Varsavia, dall’Estonia o dal Gran Kartulo. Ma intanto, mentre la Merkel tuona contro Mosca e poi si ritira, Der Spiegel intervista Eduard Shevarnazdze, il georgiano membro del Politburo che governò la Georgia fino a quando non fu cacciato dalla «democrazia».E Shevarnadze dice: «Ho sempre avuto buoni rapport con Putin. Lo conosco da sempre, e lo stimo molto. Sulla questione dei rifugiati, sull’Abkhazia, ho lavorato con lui e l’ho trovato molto collaborativo». Come dire: ecco un buon sostituto di Saakashvili.Un più sottile indizio viene dalla Turchia. Il Paese che è danneggiato dalla iniziativa russa, perchè beneficiario del terminale del gasdotto della Georgia, che termina nel porto turco di Ceyhan; e la sua marina sta tenendo manovre conngiunte con Israele. Ebbene: proprio adesso, il presidente turco ha postato sul suo sito web un documentario sulla amicizia turco-russa (4). Si tratta di un documentario sovietico, pura propaganda, girato nel 1934, e la cui diffusione è stata sempre vietata dai generali turchi «garanti della costituzione laica» (del Katz).Evidentemente, in Turchia c’è chi prende atto che tempi nuovi possono venire, e forse condivide l’analisi radicale di Mosca sul prossimo collasso dell’egemonia americana devastatrice, e ormai terminale. Non da oggi i nuovi politici turchi hanno dato prova di riconoscere la nuove realtà, meglio dei dirigenti europei giudeo-cristiani alla Merkel, o alla Kouchner. Il futuro ci dirà. Per intanto, anche qualche «americano» comincia ad essere assillato dal dubbio sgradevole sull’unicità dell’unica superpotenza rimasta. Per esempio Ralph Peters, analista politico che scrive spesso sul Weekly Standard (la bibbia neocon), non ha potuto trattenere una certa rabbiosa ammirazione per Putin in un suo articolo sul New Yorl Post.Scrive, e appprezzate lo stile: «I russi sono barbari imbevuti nell’alcol, ma ogni tanto vomitano un genio. Il primo ministro ed ora generalissimo Vladimir Putin è la odierna meraviglia della Madre Russia. Siamo onesti: Putin è il leader più efficace che esista nel mondo in questo momento. L’impero degli zar non ha generato un così spaventoso genio dai tempi di Stalin».
1) «I russi avrebbero catturato alcuni Hummer, abbandonati dai giorgiani in fuga, carichi di tecnologia militare ‘Made in USA’. La notizia viene dal quotidiano Izvestia secondo cui gli USA reclamano la restituzione di quello che Mosca considera ‘bottino di guerra’. A bordo di quei veicoli, hanno rivelato fonti altolocate, c’erano sofisticati strumenti e connessioni con i satelliti militari USA per l’allarme rapido anti-missile, i pezzi per le cosiddette ‘guerre stellari’.• Bottino ‘interessante’ : la notizia è prudentemente avallata dallo stesso vicecapo di Stato Maggiore Anatoli Nogovitsin, che ha chiarito come i russi non hanno intenzione di restituire il bottino, non solo perchè conquistato sul campo di battaglia, ma perchè è ‘molto interessante’ per i loro scienziati militari. I sei mezzi hanno importanti chiavi del sistema di sicurezza americano, il che spiega l’ansia di restituzione del Pentagono, rivela una fonte del ministero della Difesa.• Gioielli abbandonati: gli Hummer sono stati presi senza colpo ferire a Gori, dopo che le forze georgiane avevano abbandonato la città: ‘Immaginiamo quanto siano arrabbiati gli americani - ha detto la fonte - per essere stati umiliati in questo modo dai loro pupilli. Per cinque anni hanno armato con mezzi sofisticatissimi e addestrato quei soldati, e loro sono scappati ai primi colpi, abbandonandosi tutto alle spalle». I sei veicoli costituivano in pratica un centro di controllo e comando, con apparecchiature di nuovissima generazione per lo spionaggio e la ricognizione, un sistema radio a circuito chiuso per comunicare in piena segretezza, un apparecchio in grado di distinguere i mezzi amici da quelli nemici, una connessione con i dati dei satelliti spia americani, un impianto in grado di vedere e valutare la situazione delle forze sul terreno, afferma la fonte: e altre cose oggetto di studio.• Gli USA coinvolti nel conflitto: gli hummer hanno inoltre dato ai russi una possibile risposta su un aspetto del conflitto che li aveva lasciati perplessi: i radar del sistema antiaereo georgiano restavano spenti praticamente tutto il tempo, tranne brevi finestre per seguire lanci di missili, impedendo cosi' agli aerei russi di localizzare le strutture. Pero' le forze antiaeree di Tbilisi hanno tirato, almeno in quattro occasioni, a colpo sicuro, abbattendo un bombardiere Tupolev 22 e tre caccia Sukhoi 25 russi. Difficile pensare che avessero individuato gli apparecchi alla cieca. Secondo i militari di Mosca, sarebbero stati gli Stati Uniti a localizzare attraverso i loro satelliti i velivoli del nemico e ad avvertire in tempo reale, grazie alla strumentazione degli hummer, le batterie missilistiche georgiane delle coordinate su cui puntare, il tutto senza che i piloti russi potessero avere sentore di essere sotto tiro. «Ciò significherebbe - ha detto la fonte di Izvestia - che gli USA non solo hanno armato e addestrato i georgiani, ma hanno direttamente partecipato all’aggressione in Ossezia del sud». Non è il solo colpo grosso che l’irruenza del presidente Mikhail Saakashvili ha involontariamente fornito a Mosca: a Gori, i militari russi si sono imbattuti in un centro di ricognizione made in USA, ovviamente subito portato oltre confine, dotato di apparecchiature innovative per lo spionaggio.Georgia, per Mosca è la prova della partecipazione USA al conflitto [ww.rainews24.it/images/eee.gif] [www.rainews24.it/ran24/immagini/2008/08/Mig29-russia.jpg] Mig abbattuti con l’iuto degli USA.2) «L’enigme russe» Dedefensa, 26 agosto 2008.3) M.K. Bhadrakumar, «Russia remains a Black Sea power», Asia Times, 29 agosto 2008.4) «Banned film on president’s Web site - Sabah newspaper A documentary film titled ‘Turkey’s Heart Ankara’, filmed in 1934 by Russian filmmakers upon Ataturk’s request but pulled from broadcast by the Turkish Radio and Television Broadcast Corporation, or TRT, in 1969 with then TRT Director Adnan Öztrak saying the production «was only appropriate viewing for Moscow’. has now been made available for viewing on the presidency’s Web site. The documentary, which emphasizes Turkish-Soviet solidarity during the Turkish War of Independence, also gives broad coverage to the ceremonies commemorating the 10th anniversary of the Republic’s founding’. ‘Turkey’s Heart Ankara’ boasts not only the famous 10th anniversary anthem but also The Internationale, the communist anthem, in a segment about Soviet Defense Minister Kliment Jefremovics Voroşilov’s visit to Turkey». (Maurizio Blondet)

venerdì 15 agosto 2008

LA POLITICA DI PUTIN

La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.E chi è?Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche). A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3). Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili. Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.
Maurizio Blondet

lunedì 11 agosto 2008

ISRAELE HA PERSO ANCORA

Un «mercenario americano» sarebbe stato catturato nell’Ossezia del Sud mentre combatteva per i georgiani in qualità di «istruttore». Lo riporta la radio locale Osetinskoe Radio, che precisa: l’uomo faceva parte di un gruppo di stranieri armati catturati vicino al villaggio di Zar, che si trova lungo quella che gli osseti russofoni considerano «la via della vita», perchè vi passano i rifornimenti dalla Russia. Il personaggio catturato sarebbe pure negro, e sarebbe stato portato a Vladikavkaz «per accertamenti sui motivi della sua permanenza in Ossezia».La notizia non è controllata. Ma viene fra molte informazioni che confermano la presenza di combattenti stranieri. Secondo Eduard Kokoity, «presidente» della Sud-Ossezia citato dall’agenzia russa RIA, «dopo i combattimenti abbiamo trovato numerosi cadaveri di cittadini balttici ed ucraini; in seguito sono stato informato che corpi di diversi negri sono stati trovati sulla scena della battaglia presso la scuola n. 12» (1).In attesa di conferme, ce n’è già più d’una da parte giudeo-occidentale. Il giorno 8 agosto, quando i kartuli sono partiti all’attacco convinti di una rapida vittoria sugli osseti, il ministro georgiano Temur Yakobashvili, che è ebreo come indica il suo nome («figlio di Yakov»), e parla un ebraico fluente, esultava pubblicamente: «Gli israeliani devono essere fieri dell’addestramento che hanno dato ai soldati georgiani...Ora speriamo nell’assistenza della Casa Bianca, perchè la Georgia non può vincere da sola».Ancor più chiaramente l’agenzia israeliana Debka (un noto centro di disinformazione del Mossad), lo stesso giorno, sicura della vittoria, annunciava: «Cingolati e fanteria georgiani, aiutati da istruttori militari israeliani, nella mattinata hanno conquistato la capitale della Sud-Ossezia secessionista, Tskhinvali». E, citando «le sue esclusive fonti militari» era in grado di spiegare quale sia «l’ìnteresse di Israele nel conflitto» (2).Eccolo:«Gerusalemme possiede un forte interesse nella pipeline che porta il gas e greggio del Caspio al porto turco di Ceyhan, senza bisogno di usare le reti di gasdotti russi. Sono in corso intensi negoziati tra Israele, Turchia, Georgia, Turkmenistan e Azerbaijian affinchè l’oleodotto raggiunga la Turchia e da lì il terminale petrolifero di Israele ad Ashkelon e di seguito il porto di Eilat sul Mar Rosso. Da lì, super-petroliere possono portare il gas e il greggio in estremo oriente attraverso l’oceano indiano».Dunque la Vittima Eterna non vuole solo assicurarsi il petrolio per i suoi consumi interni, bensì partecipare al grande business, far dipendere l’Asia dalla sua buona volontà di fornitrice.Debka continua: «L’anno scorso il presidente georgiano ha assunto da ditte israeliane di sicurezza (sic) alcune centinaia di istruttori militari, si stima oltre mille, per addestrare le forze georgiano in tattiche di commando, e di combattimento aereo, navale e corazzato. Hanno fornito addestramento in intelligence militare e sicurezza per il regime. Tbilisi ha anche comprato armamento e sistemi elettronici d’intelligence e di puntamento da Israele. Questi istruttori sono fortemente impegnati nella preparazione della armata georgiana alla conquista della capitale del Sud-Ossezia».Non basta. Debka rivela che «nelle scorse settimane Mosca ha ripetutamente chiesto a Gerusalemme di smettere la sua assistenza militare alla Georgia, fino a minacciare una crisi della relazioni bilaterali. Israele ha risposto che l’assistenza fornita a Tbilisi era solo difensiva».Se le cose stanno così, la conclusione è inevitabile: non è il dittatore di Kartulia, bensì Israele ad aver subìto una cocente sconfitta in Ossezia. Una replica del fallito attacco contro Hezbollah, e per gli stessi motivi: cieca presunzione della propria superiorità, credenza nella propria stessa propaganda (Hezbollah: belve arretrate, Russia: tigre di carta incapace di riempire il vuoto lasciato dall’URSS), e soprattutto, il risultato della «americanizzazione» dell’ex-glorioso Tsahal, da snella armata di aggressione-lampo a dinosauro dalla logistica pesante «made in Pentagon», con ricorso a «ditte» di mercenari (privatizzazione ed outsourcing della guerra: la bella trovata di Rumsfeld), e dalla tipica ottusità tattica made in USA: una vera tradizione questa, che risale alla guerra di Corea, continua ostinatamente e senza rimedio in Vietnam, e di cui si vedono gli ultimi effetti in Iraqe Afghanistan.Ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione gli europei, il Berlusconi compreso: tutti accaniti a chiedere ragione a Putin della reazione «sproporzionata» in Ossezia, se non fossero i maggiordomi del Katz dovrebbero chiedere a «Gerusalemme» (ma la capitale non era Tel Aviv?) qualche ragione della sua presenza militarista in Georgia, apparentemente col coinvolgimento diretto di suoi mercenari (oltre a qualche povero negro americano) negli scontri. E’ legale? Che cosa dice in proposito il famoso diritto internazionale?Invece avviene il contrario, naturalmente.Battezzata «Operation Brimstone» (Operazione Zolfo), una delle più vaste esercitazioni aeronavali occidentali del dopoguerra è finita il 31 luglio nell’Atlantico. La grande manovra ha visto impegnati un «supergruppo di battaglia» portaerei USA, un gruppo di spedizione USA con portaerei, un gruppo di battaglia portaerei della Royal Navy britannica, un sottomarino nucleare da caccia francese, e un gran numero di incrociatori, fregate e cacciatorpediniere americani, nella parte delle «forze nemiche» (3).Lo scopo dichiarato di queste grandi manovre della più grande Armata occidentale dai tempi della prima guerra all’Iraq è attuare il più severo blocco navale attorno all’Iran. Benchè produttore di petrolio, l’Iran ha limitate capacità di raffinazione; importa il 40 per cento delle benzine e carburanti di cui ha bisogno. Bloccare l’arrivo delle benzine e carburanti è giudicato il solo modo di colpirne gravemente l’economia. L’Europa dunque partecipa a questo blocco, che è un atto di guerra secondo il diritto internazionale. Ancora una volta, è la scuola israeliana a dettare la legge di guerra: il trattamento-Gaza anche per gli iraniani, la «cura dimagrante».Ma la quantità e il volume di fuoco della flotta messa in campo non può essere diretta solo all’Iran. E’ volto a dissuadere ben determinati paesi - la Russia e la Cina, che è uno dei maggiori clienti del petrolio iraniano - ad opporsi al blocco, magari scortando con proprie navi militari le petroliere con i prodotti raffinati acquistati da Teheran.Quanto alla Russia, si tratta di tenere sotto schiaffo, e dissuadere dall’intervenire, la flotta del Mar Nero recentemente spostata nel Mediterraneo, con base nel porto siriano di Tartus: guidata dalla portaerei moderna «Ammiraglio Kusnetsov» (che porta una cinquantina di caccia e una decina di elicotteri) e l’incrociatore lanciamissili «Moskva».Nei giorni scorsi la Moskva, accompagnata dalla corvetta Smetlivy sono state spostate nell’area orientale del Mar Nero, davanti alla Georgia, con il dichiarato scopo di assistere gli osseti in fuga davanti all’invasione georgiana del loro territorio: almeno 30 mila persone su 70 mila, terrorizzati dalle atrocità di cui sono stati testimoni.Nei loro racconti, parlano di bombe a mano tirate dai soldati georgiani nelle cantine dove gli abitanti si erano rifugiati dai bombardamenti, di soldati russi della forza d’interposizione feriti, catturati e giustiziati sommariamente, di un inizio di pulizia etnica (il presidente Medvedev ha parlato di genocidio). Le oltre duemila vittime civili paiono confermare: non si è cercato di fare un’operazione militarmente «pulita», bensì di spargere il terrore con massacri, per spingere alla fuga la popolazione.Ancora una volta, è la scuola israeliana all’opera: il «trattamento Deir Yasin». E la Francia del Sarko-katz partecipa all’avventura con un sommergibile atomico. Visto che Berlusconi è spesso al telefono con Sarko, che è pure presidente semestrale della UE, non potrebbe chiedergli ragione di tanto impegno? E magari una telefonata di richiesta di chiarimenti «all’amico Bush» su quei negri ammazzati e catturati in territorio altrui? Invece no: chiede moderazione solo all’«amico Putin».Le grandi manovre giudaico-cristiane («Brimstone» nell’Atlantico, e «Immediate Response» in Georgia, entrambe finite il 31 luglio, a ridosso dell’attacco di Kartulia agli osseti) fanno pensare che Saakashvili, dopotutto, non abbia agito di testa sua; l’attacco deliberato pare iscriversi in un più vasto piano concertato di provocazione ed affermazione di potenza, per il dominio totale delle fonti petrolifere. Una strategia alla Brzezinsky, sul «grande scacchiere» geopolitico, contro i nemici storici reali, Russia e Cina.Se è così, mai nome fu più adatto ad una esercitazione: «Operazione Zolfo» ha l’intento di incendiare definitivamente l’area del petrolio del Golfo. In qualche modo, la strategia Us-raeliana sembra quella di reagire alle proprie sconfitte aumentando la posta.Ci sono brandelli di informazioni, che non troverete sui nostri media alla Riotta, e che paiono confermare questa volontà di escalation.
• Il ministero degli Esteri ucraino ha dichiarato che l’Ucraina si riserva il diritto di impedire il ritorno della flotta russa del Mar Nero, ora impegnata al largo della Georgia, nei porti ucraini (4). In base ad un accordo firmato fra i due paesi, la flotta bellica russa ha il diritto di usare i porti ucraini fino al 2017. Evidentemente la «democrazia» ucraina, che deve la sua esistenza a Washington non meno della «democrazia» in Kartulia, arde dalla voglia di impicciarsi nel conflitto, troppo «limitato» secondo i gusti del suo padrone a Washington. Bisogna ampliarlo, e l’Ucraina si presta.• Gli americani si apprestano a trasportare, con ponte aereo, metà del contingente di Kartulia che è impegnato in Iraq, e che ne fa il terzo dei contingenti alleati, dopo americani e britannici. Mille uomini subito «entro 96 ore», gli altri mille al più presto, ha detto il colonnello Bondo Maisuradze: «Gli USA ci forniranno il trasporto» (5). Dunque il Pentagono, mentre chiede il cessate il fuoco a Putin, prepara il suo satellite georgiano ad un qualche contrattacco. E in ogni caso, il ponte aereo dell’USAF espone gli aerei americani al contatto con le armi russe: una provocazione aperta, magari alla ricerca di un «incidente».• Nel lontano Kirghizistan, in una casa di Bishkeh (la capitale) affittata a cittadini americani con passaporto diplomatico, la polizia locale - allertata dai vicini - ha trovato un vero arsenale: 53 armi da fuoco anche «di grosso calibo» oltre a «lanciagranate, fucili mitragliatori, pistole, carabine da cecchino e 15 mila proiettili». I cittadini americani che sorvegliavano le armi sono «due dipendenti dell’Ambasciata USA e dieci militari americani nel paese, dicono loro, per addestrare le forze speciali kirghize». Un dettaglio che il ministro degli Interni kirghizo, Temirkan Subanov, e il ministero della difesa, negano con forza. C’è un accordo con gli USA, dicono, per addestrare gli agenti anti-droga (l’oppio afghano passa di lì), ma l’addestramento non richiede nè contempla armamento pesante. L’ambasciata USA ha emesso un comunicato in cui insiste: l’arsenale era lì con il permesso e su richiesta del governo kirghizo (6).Insomma l’America sta rimestando attivamente nel torbido, incitando i suoi satelliti e provocando, in tutta la vasta area d’influenza russa. L’Europa - tramite le sue cosche non-elette - è della partita, all’insaputa dei suoi cittadini.I nostri media non ci informano del fatto che siamo già schierati nella guerra di aggressione più inaudita della storia, a provocare il nostro massimo e più affidabile fornitore di prodotti energetici. Al contrario, titolano «Putin piega la Georgia» (Repubblica), «Mosca cieca» (Il Manifesto), ed evocando l’invasione sovietica a Praga nel 1968.Quanto al Papa, invoca la pace in nome delle «comuni radici cristiane», come se il cristianesimo c’entrasse qualcosa: che analisi fanno, in Vaticano? Hanno delle informazioni proprie? Che ideologia sposano? La giudaizzazione della Chiesa la porta alla rovina mentale.Si vede che siamo sotto protettorato di Katz, con direttori di tg del Katz, e giornali di sinistra molto del Katz.

LACCHE' CON KIPPA'

Come ammette - incredibile - persino la grande stampa italo-sionista,da Repubblica al Corriere, non solo gli USA ma direttamente Israele hanno contribuito al riarmo (a pagamento, con dollari USA) della Georgia. Gli ebrei si infilano immediatamente in tutti gli staterelli dove gli USA aprono la strada, si veda il Kurdistam iracheno. Ma che siano armi e istruttori israeliani in Georgia non dà fastidio, bisogna far finta di niente. La cosa più scandalosa tuttavia è ancora una volta la disinformazione propagandistica e spudorata di giornali e televisioni sui fatti georgiani: nascondo o minimizzano il fatto che sono stati i georgiani ad attaccare per primi, fingono di non sapere che un'intera città, la capitale dell'Ossezia è stata rasa al suolo e poi occupata dalle truppe del folle georgiano, prima di essere liberata dai russi. Nelle gigantografie fotografiche in prima pagina di CdS e Repubblica si vedono le vittime piangenti "dei bombardamenti russi"(uguale tecnica in Medio Oriente, dove un caduto ebreo occupa dieci volte più spazio di una famiglia palestinese massacrata in casa), mentre Bush, che ha l'incredibile faccia di bronzo di intimare a Putin di "rispettare i confini", viene presentato come un apostolo della pace . La tragedia per le nazioni europee è che la lobby ebraica nell'informazione come nella finanza e nella politica ormai domina ed ha ucciso alla radice il dibattito politico, soprattutto in campo internazionale e, come ben sanno da secoli gli studiosi di politologia, la politica estera è l'essenza della politica. Conseguentemente, di fronte ad ogni conflitto, l'opinione pubblica viene indotta a chiedersi non quali siano gli interessi del suo paese, ma quelli di Israele. La sicurezza di Israele - Stato fondato sulla rapina e l'aggressione - deve essere il problema principale di italiani, tedeschi, francesi ecc. Siamo quotidianamente informati su ciò che accade in Israele più che a casa nostra, Israele ci deve entrare nella mente e nel cuore, Israele ueber alles. Ma gli interessi di Israele e della lobby ebraica sono esattamente opposti a quelli europei: in Medio Oriente come nei rapporti con la Russia. Una vera ripresa economica, una rinata sovranità, una politica estera non telecomandata da Tel Aviv passano per una netta riduzione del potere della lobby e una nuova alleanza con la Terza Roma, Mosca. E' ridicolo immaginare che un Berlusconi, un Veltroni, un Bossi, un Casini possano davvero fare "politica" cioè fare delle scelte che facciano uscire il paese dallo stato di colonia cui è ridotto (anche scelte economiche, ovviamene): non ce n'è uno che, al di là di sventolii rituali di bandiere italiane, celtiche, padane o da fiera paesana, abbia il coraggio di dire che al di sopra di tutto non c'è Israele ma ci sono gli interessi nazionali. E non è un caso che tutti i maggiordomi politicanti che vanno al "potere" (un potere da lacché di lusso) si rechino prima in ginocchio alla Casa Bianca e poi vadano a frignare davanti al Muro del pianto in Israele , snocciolando le solite litanie olocaustiche con il giuramento, all'ombra di una kippà regolamentare, di difendere sempre lo stato d'Israele (anche a costo di mandare a Patrasso l'Italia, si potrebbe aggiungere). Il colmo dell'imbecillità recente, che dà un'idea del rimbambimento patologico persino fra gli anticorpi, è poi la processione a Colonia di tutte le destre "nazionaliste" europee per bloccare l'edificazione di una moschea. E' il summit politico che quei microcefali riescono a concepire. Non hanno capito, gli idioti, che la Sinagoga è ben più ostile a qualsiasi forma di sovranità nazionale (beninteso in Europa) che non una Moschea. Tutte le moschee d'Europa, per antipatiche che possano essere per qualcuno, incidono sulla politica europea neanche per il 5%. Le sinagoghe incidono per il 50 e dispongono del potere di veto. Tra non molto i megafoni della propaganda sionista scateneranno l'attacco all'ennesimo "nuovo Hitler" , cioè Putin. Appena avranno regolato i conti con Ahamadinejad. E noi, che avremmo tutto l'interesse a stare con la Russia e il mondo arabo che non ci minacciano affatto, anzi rappresentano una eccellente possibilità per il futuro, andremo invece a rimorchio dell'asse americano-ebraico. Per i superiori interessi di Israele e della piovra sionista, non per quelli dei nostri figli.

AGGRESSIONE GIORGIANA

Quando si distruggono gli imperi - anche cattivi - quel che riempie il loro vuoto è sempre peggio. La scomparsa di un impero lascia sempre una zona di instabilità, a volte per secoli (il Medio Oriente in fiamme è un esito della scomparsa dell’impero ottomano) e il motivo è ovvio. Al posto del «comando» imperiale, che è sempre in qualche misura responsabile, pretendono di «comandare» capi locali, provinciali o addirittura tribali, retrogradi, avventuristi e irresponsabili fino all’infantilismo. I nuovi «comandanti» salgono in cattedra di fronte al mondo, fanno la voce grossa, si sentono finalmente «liberi» e «sovrani». In realtà, sono solo vermi che pullulano dentro la grande carcassa dell’impero morto.Mikhail Saakashvili, portato al potere da una «rivoluzione delle rose» interamente pagata dalla CIA (il fatto è ampiamente documentato) è stato votato dai georgiani - cinque milioni in tutto, una provincia - perchè era il più nazionalista di tutti loro. Immediatamente, aizzato da Washington, costui ha chiesto l’adesione alla NATO. Altrettanto immediatamente, ha vietato la lingua russa ed ha abolito da tutte la scritture pubbliche e private i caratteri cirillici; ma non per sostituirli coi caratteri latini che si usano alla NATO, bensì con un alfabeto georgiano arcaico, prima reperibile solo in qualche antica lapide e decifrabile solo da qualche archeologo specializzato, e quasi certamente sconosciuto alla maggioranza assoluta dei georgiani stessi.Dunque, se il mondo deve occuparsi della Georgia, che impari la lingua e l’alfabeto kartuli (si chiama così, dal nome di un eroe mitico-capostipite). Saakashvili è riuscito a dare realizzazione al sogno o delirio che Bossi si limita covare, restituire i lombardi all’alfabeto celtico, un alfabeto magari di sua invenzione durante una notte di sbornie? I secessionismi e i particolarismi si nutrono sempre di qualche delirio arcaico.Siccome quello di Saakashvili è un secessionismo compiuto - un modello - sarà dunque istruttivo anche per i lombardi studiarne l’esito.A pochi mesi dalla sua elezione trionfale, Saakashvili ha trasformato la «democrazia» pagatagli dalla CIA in una dittatura personale; più precisamente, nella dittatura della sua tribù materna - letteralmente, il clan tribale di sua madre - ai cui membri ha distribuito cariche, favoritismi e mazzette della corruzione dilagante.Nel novembre scorso, ci sono state dimostrazioni di piazza contro il dittatore tribale; i neo-cittadini già ne hanno abbastanza del Gran Kartulo; ma Saakashvili ha scatenato contro i concittadini kartvelebi (così d’ora in poi si devono chiamare) le sue guardie pretoriane, dotate di inusitata ferocia e di armamento e addestramento pagato da Washington. Tipico dei vermi che pretendono di «comandare» agitandosi nella carcassa di un impero putrefatto è dichiararsi vittime storiche dell’impero defunto: benchè abbia dato la nascita a Stalin, ed abbia sempre avuto georgiani nel CC del PCUS, la nuova Georgia si dichiara innocente del sovietismo. Non c’entra, non c’è mai entrata, l’ha sempre combattuto scrivendo di nascosto in kartuli.Naturalmente, i vermi prediligono la storia antica (specie quella così antica da non aver lasciato tracce, come i Celti in Lombardia) rispetto a quella recente. Così, la Georgia nuova ha deciso di ignorare il fatto che 70 anni di unità sovietica hanno mescolato popolazioni e ha creato - soprattutto - una essenziale dipendenza economica delle piccole regioni dell’impero dalle più grandi.La Georgia contribuiva all’impero sovietico con due prodotti di cui non sfuggirà l’importanza strategica: una produzione di vini di seconda qualità che solo il cittadino sovietico trovava bevibili (sempre meglio dell’antigelo per motori), e una certa acqua minerale Borzhomi. Saakashvili ha preteso che Mosca continuasse a importare i suoi vini e la sua acqua minerale, allo stesso tempo dichiarandosi indipendente dalla Russia da cui importava tutto il resto, a cominciare dal petrolio con cui riscalda le case georgiane nei rigidi inverni. E pretendeva che i cittadini di lingua russa, messi in Abkhazia e in Ossezia nel grande tragico rimescolamento di popoli staliniano, imparassero il kartuli e inneggiassero al clan di sua mamma.Su un altro punto il Bossi kartuli è molto più concreto del nostro Saakashvili «padano»: il nostro straparla di «fucili» e «proiettili», il georgiano ha speso il 70% del prodotto interno lordo del suo Paese di 5 milioni di abitanti in miseria, in armamento pesante (1). Si è fatto un esercito di 17 mila uomini; ne ha mandati 2 mila in Iraq a fianco dell’Alleato Americano; ciò allo scopo di trascinare, poi, l’Alleato Americano nella guerra che intende sferrare contro la Russia, perchè questo è il suo scopo ultimo.Giudicate voi: è o non è una Grande Politica Mondiale? Il particolarista perfetto, per quanto provinciale e tribale sia, ha infatti ambizioni mondiali. Nel caso, scatenare la guerra atomica fra due superpotenze. E’ così che i vermi secessionisti si sentono grandi; provocando grandi disastri.Il guaio è che Saakashvili ha trovato l’appoggio dell’altra demenza, quella che impera a Washington. La quale ha usato la Georgia come zona di transito del petrolio del Caspio, che non vuol far passare dalla Russia: le condutture della pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan, finanziate da BP, Total ed Eni, servono allo scopo, e dovevano fornire al capo kartuli un flusso di royalty un po' più sostenuto dell’export di vinello e acqua minerale, da distribuire alla tribù materna.Washington preme per far entrare la Kartulia nella NATO; l’Europa non dice di no, ma nicchia, e trascina i piedi; Washington brucia le tappe e organizza una esercitazione militare congiunta con truppe americane e truppe kartuli in territorio kartuli, a ridosso della Russia; questa esercitazione è avvenuta ed è finita solo il 31 luglio, dunque pochi giorni fa (2) e si è chiamata, per volontà del Pentagono, «Immediate Response» (vedi «Provocazioni contro Mosca», EFFEDIEFFE.com, 21 luglio). Una chiara provocazione ai russi, dopo il piazzamento dei missili in Polonia e la minaccia di espellere la Russia dal G-8.Ciò ha chiaramente incoraggiato nei suoi progetti il Gran Kartuli. Saakashvili ha preso l’iniziativa dell’aggressione: ha mandato le sue truppe a bombardare l’Ossetia russofona, ed è apparso in TV tenendo dietro le spalle la bandiera stellata dell’Unione Europea di cui non fa parte, con accanto il vessilo della NATO di cui non è membro. Ha fatto tappezzare Tbilisi, la sua capitale, di manifesti dove appare a fianco di George W. Bush.Come tutti i Bossi, anche lui vive in un mondo di fantasia, di ampolle sacre su sacri fiumi, di antichi eroi kartuli del 12mo secolo o dell’età della pietra. Saakashvili si frega le mani: adesso gli americani interverranno a fianco del loro più forte alleato, Mosca ha i giorni contati. Ordina a Washington: rimandatemi i 2.000 uomini che vi ho spedito in Iraq, ora mi servono per marciare su Mosca.Probabilmente nessuno ha tradotto in caratteri kartuli una frase di Kissinger, che dovrebbe essere invece scolpita molto in grande a Tbilisi: «Nessuna grande potenza si suicida per un alleato minore» (a meno che non si chiami Katz). Anzi, due frasi di Kissinger. La seconda è: «Nessuna grande potenza si ritira per sempre». Parecchie decine di carri armati russi occupano la Sud Ossezia. Navi russe nel Mar Nero si predispongono a chiudere Kartulia in un blocco navale (3).Saakashvili è scomparso in un bunker. L’aiuto che riceve è un po' di propaganda: ecco, vedete com'è cattivo Putin, dice Bush, e ripetono i Frattini europoidi, e tutti i media coi loro camerieri e ragazzi-spazzola.Devo dire che la propaganda non resta senza effetto sulla stupidità egemone. Una mia amica altolocata, che lavora per l’ONU, mi telefona tutta indignata: Putin ha bombardato Tbilisi, una capitale straniera di uno Stato sovrano, violando il diritto internazionale; mentre Saakashvili, facendo strage in Sud-Ossezia, ha agito nel suo diritto, perchè il Sud-Ossezia è territorio georgiano, un «affare interno».Provo a rinfrescarle la memoria: ha presente che gli USA hanno invaso e stanno occupando due Paesi che non gli hanno mai dichiarato guerra nè mai costituito una minaccia per Washington? Riesce, con uno sforzo, a ricordare che solo due anni fa, Israele ha bombardato la capitale di un Paese sovrano che pare chiamarsi Libano, devastandolo dalle fondamenta, con la scusa che doveva liberare quattro (dicesi quattro) soldatini israeliani catturati mentre penetravano in territorio libanese? E’ in grado di ricordare che un Paese che non ha mai aggredito nessuno, di nome Iran, è perennemente minacciato di attacco preventivo perchè sta sviluppando un’industria nucleare civile, cui ha diritto come firmatario dei Trattati di Non-Proliferazione? Viene forse invocato in questi casi il diritto internazionale?La risposta è: «Scusa, devo lasciarti perchè ho ospiti». Le signore dell’ONU hanno sempre ospiti nelle loro ville con piscina. Aperitivi, rinfreschi, alta società.Così, non riesco a cominicarle la mia ultima frase: dall’11 settembre 2001, la società Bush & Katz ha inaugurato una nuova fase storica globale. La fase in cui la violenza «è» il nuovo diritto internazionale. E' una fase nuova ma anche un grande ritorno dell’arcaico, la forza che crea il diritto.L’invasione non provocata e non motivata legalmente di Afghanistan (occupato da sette anni) e Iraq (occupato da quattro), come il bombardamento del Libano hanno creato un precedente giuridico internazionale. Di cui anche all’ONU si dovrebbero soppesare tutte le conseguenze.Naturalmente, la risposta di Mosca al Gran Kartuli - risposta adeguata nel quadro della nuova legalità internazionale - apre una fase pericolosa. Per noi europidi, che riceviamo dalla Russia il 25% del nostro fabbisogno energetico, per i nostri serbatoi e per i nostri riscaldamenti invernali: perchè noi europei abbiamo lasciato che la ditta Bush & Katz ci separassero fisicamente dal fornitore russo, lasciando che costituissero Stati-cuscinetto come l’Ucraina, la Polonia, e la Kartulia.Pericoloso per l’Iran (e dunque ancora per i nostri serbatoi e caloriferi), visto che la confusione nell’area di instabilità avvicina la tentazione di Katz di attaccare Teheran approfittando della confusione stessa. Negli scorsi giorni, due nuove portaerei USA, e un altro cacciatorpediniere americano «accompagnato da due navi israeliane» (4) non identificate sono entrati nel Golfo Persico, ad aggiungersi alla densa zuppa di flotte da guerra che Bush & Katz mantengono da mesi davanti alle coste iraniane; c’è da chiedersi come riescano a manovrare nello stretto di Ormuz.Mai siamo stati così vicini ad un gravissimo conflitto. Di cui non dobbiamo dimenticare di ringraziare i Solana, i Barroso, i Frattini, che si tengono stretti all’«alleato» che congiura alla nostra rovina come europei, anzichè formare una solida partnership europea con Mosca, dettata dal nostro reciproco destino manifesto. La guerra fredda non è stata mai così vicina a diventare rovente dai tempi della crisi di Cuba; allora l’impero sovietico si mostrò responsabile; oggi l’impero non c’è più, e nemmeno lo stesso grado di responsabilità. E' questo il vuoto che lasciano gli imperi spaccati.Di una sola cosa siamo (quasi) certi: la guerra non si espanderà partendo dalla Georgia. Lì, ha ragione Lavrov, il conflitto è e resta «limitato». Bush & Katz non alzeranno un dito per il loro servo Saakashvili. E' limitato in tutto e per tutto (5).Almeno una consolazione ci resta: quest’inverno, nel gelo del razionamento, non dovremo studiare al lume di candela l’alfabeto kartuli. Forse gli stessi georgiani tornerannno ai caratteri cirillici.

domenica 20 luglio 2008

Solidarietà a chi pensa ai più indifesi

Solidarietà a chi pensa ai più indifesi

Esprimo profonda solidarietà al medico anestesista, obiettore, che, stando alle recenti notizie, nei giorni scorsi all’ospedale milanese Niguarda, ha rifiutato di somministrare le cure antidolorifiche ad una donna che si era sottoposta ad aborto terapeutico. Solidarietà e vicinanza a tutti coloro che pensano al dolore di chi non ha voce per urlarlo ed a chi, a proprio modo e con passione, convinzione e caparbietà conduce la propria battaglia contro la strage degli innocenti e dei più indifesi.
(Nicoletta Locati)

mercoledì 9 gennaio 2008

Per una nuova radicalità anticapitalista -1-

Per una nuova radicalità anticapitalista *
(Né rossi né bruni: una proposta politico-culturale alle minoranze antisistema)


Marino Badiale **
Università di Torino


PARTE PRIMA

1. Introduzione.
Il mondo contemporaneo sembra andare nella direzione di una profonda crisi di civiltà. Gli sviluppi degli ultimi decenni ci parlano di una realtà naturale resa sempre più velenosa e pericolosa per gli esseri umani, di una realtà politica internazionale dominata da guerre e violenze, di società nazionali sempre più disgregate sul piano economico e sociale. Anche il rapido sviluppo economico di importanti paesi, che viene portato come esempio positivo, mostra a ben vedere un volto poco rassicurante in termini di degrado ecologico e conflitti per il controllo delle risorse.
Tutti questi elementi ci fanno pensare che sia ragionevole la tesi di Jared Diamond, quando, riflettendo su esempi storici di crisi di civiltà, ipotizza per il nostro mondo non “uno scenario apocalittico, con l’estinzione della razza umana e il catastrofico collasso della civiltà industriale”, ma piuttosto “un futuro caratterizzato da standard di vita significativamente inferiori a quelli odierni, da rischi cronicamente superiori e dalla crisi di quelli che consideriamo alcuni dei nostri valori-chiave”
[1].
In questo contesto, le tradizionali contrapposizioni politiche, che nei paesi occidentali si sono sedimentate attorno a quella, fondamentale, di destra e sinistra, appaiono ormai inutili e prive di significato. I ceti politici, di destra, di centro e di sinistra, che si alternano al governo dei paesi occidentali, si contrappongono su questioni di carattere limitato e su giochi di immagine, ma non esprimono in alcun modo idee diverse sulla direzione in cui si muovono le nostre società. Non sanno o non vogliono far nulla per contrastare realmente la crisi di civiltà verso la quale ci stiamo muovendo, e rappresentano solo un ceto di amministratori ben pagati dell’esistente, incapaci di concepire il mutamento profondo che appare necessario.
Questo saggio è stato scritto a partire dalla convinzione che contrastare la crisi di civiltà verso la quale ci stiamo dirigendo implichi la critica drastica dell’organizzazione sociale ed economica capitalistica che si è ormai estesa all’intero pianeta, e che, di conseguenza, sia vitale oggi far nascere un’area sociale di radicale opposizione culturale e politica al capitalismo e all’imperialismo. Si tratta di una posizione che nell’immediato è ultraminoritaria, ma che, se adeguatamente sviluppata, ha la possibilità di aggregare larghe fasce della popolazione, in considerazione del lento peggioramento della qualità della vita cui stiamo assistendo, e che si accentuerà in futuro. Uno dei possibili punti di partenza di una aggregazione sociale e culturale anticapitalistica è rappresentato dalle minoranze che già adesso si esprimono in termini di anticapitalismo e antimperialismo. Si tratta degli ambienti dell’estremismo di destra e di sinistra. Questo saggio rappresenta una proposta politico-culturale rivolta a tali minoranze, nella prospettiva della nascita di un’area di opposizione anticapitalista che possa incidere sul piano culturale e, in un secondo momento, sul piano politico. Iniziamo col rivolgerci agli ambienti abitualmente classificati come “estremisti” nella speranza di una loro evoluzione che li porti a superare tale caratterizzazione, e ad elaborare una visione culturale e politica che sappia rivolgersi a larghe fasce di cittadini. Questo saggio vorrebbe rappresentare un primo spunto per tale elaborazione.
Tenteremo per prima cosa una critica della contrapposizione fra estremismo di destra ed estremismo di sinistra. Si tratta di una contrapposizione che è espressione della contrapposizione di fascismo e antifascismo, fondamentale nel mondo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Cercheremo di mostrare come tale contrapposizione si sia ormai esaurita. In seguito porteremo alcuni argomenti a favore della tesi che la risposta a tale situazione (tendenziale crisi di civiltà, esaurimento della contrapposizione fascismo/antifascismo) non sia quella di alleanze “rossobrune” fra estrema destra ed estrema sinistra, ma piuttosto quella di un dissolvimento delle contrapposte identità politiche e della nascita di una nuova identità anticapitalista, non più definibile in termini delle contrapposizioni di destra e sinistra, fascismo e antifascismo, comunismo e anticomunismo.



2. Fine dell’antifascismo.
La Resistenza antifascista rappresenta oggi una fonte di ispirazione morale e culturale, ma non ha più alcuna attualità nella definizione di concreti obiettivi politici. Il motivo è semplicissimo: l’antifascismo è definito dall’essere opposizione e contrasto al fascismo. Ma oggi non c’è nessun fascismo cui opporsi. Questo è un semplice dato di realtà, sul quale ci sarebbe in linea di principio poco da dire. Poiché però tale affermazione contrasta un sentire diffuso a sinistra, conviene approfondire la questione.
Innanzitutto una precisazione: dicendo che non c’è alcun fascismo da contrastare non si vuol dire che non esistano individui che si definiscono fascisti, o che non esistano partiti e movimenti che al fascismo fanno riferimento, più o meno esplicito. Si intende piuttosto dire che il fascismo non esiste sul piano della realtà concreta, della lotta politica per il potere reale nelle nostre società occidentali. Fascismi e fascisti sono realtà ultraminoritarie, residuali, di nessuna importanza sul piano politico. E non c’è nessun elemento per pensare che, in tempi ragionevoli, essi possano uscire da questa condizione e ridiventare una forza politica effettiva.
La nostra tesi è che non c’è oggi nessun “pericolo fascista” contro il quale debba mobilitarsi l’antifascismo. Ci sono, certo, nella realtà contemporanea dei paesi occidentali, vari tipi di fenomeni che possono ricordare alla lontana alcuni aspetti fenomenologici del fascismo, come la crescita di forme di razzismo (diretto principalmente contro gli immigrati) o la caduta, nell’opinione pubblica occidentale, del tabù contro la guerra di aggressione. Ma si tratta di cose ben diverse dal fascismo, che possono essere accomunate ad esso solo per la pessima abitudine, un tempo diffusa a sinistra, di chiamare fascismo i più diversi tipi di violenza politica. Il fascismo storicamente esistito è infatti espressione di una violenza di massa esercitata dai ceti medi contro un movimento di sinistra delle classi subalterne, e sua condizione storica irrinunciabile è una grande omogeneità sociale e culturale dei ceti medi, che tradizionalmente si esprimeva in una cultura conservatrice, nazionalista, religiosa, patriarcale. Mancano oggi entrambe queste condizioni, che si avevano invece nell’Italia dei primi anni Venti e nella Germania dei primi anni Trenta. Da una parte le classi inferiori non esprimono nessun movimento che possa mettere in crisi l’attuale struttura economica e sociale, dall’altra l’evoluzione sociale ha cancellato, da molto tempo, ogni omogeneità dei ceti medi, al cui interno si possono trovare oggi le situazioni sociali più diverse e i valori più conflittuali.
Mancano così al fascismo sia la sua base sociale e culturale, che era rappresentata dai ceti medi conservatori, sia il sostegno dei ceti dominanti, che sono disposti ad appoggiare il fascismo di fronte alla sfida lanciata da un movimento di sinistra in grado di mettere in questione le fondamentali strutture sociali ed economiche. E’ vero che siamo in presenza di un lento peggioramento delle condizioni di vita di molte persone, ma in mancanza di movimenti politici che cerchino seriamente di combattere il capitalismo odierno, gli attuali ceti dirigenti non hanno nulla da temere, e possono continuare a gestire la situazione, facendo pagare il costo delle crisi agli strati subalterni senza ricorrere al pericoloso aiuto del fascismo. Detto in maniera più chiara: oggi i ceti dirigenti capitalistici non hanno nessun bisogno di un Mussolini (Benito), avendo già a loro disposizione Prodi e Berlusconi, Fini e D’Alema, Veltroni e Casini, Bertinotti e Bossi, Diliberto e Mussolini (Alessandra). Il circo politico-mediatico abbonda di servi variamente colorati, disposti a gestire la realtà sociale in modo da non disturbare gli affari dei potenti. Se questa situazione dovesse cambiare, in un futuro adesso imprevedibile, la reazione delle classi dominanti non sarebbe comunque il ricorso al fascismo, per il quale manca, come abbiamo detto, la base sociale e culturale.



3. Riti identitari.
Nel seguito di questo saggio approfondiremo queste analisi, e cercheremo di delineare almeno le linee generali di una proposta politico-culturale che tenga conto delle novità storiche che dobbiamo fronteggiare. Prima di fare questo, ci sembra necessario criticare almeno alcuni degli aspetti più chiaramente sbagliati del modo in cui l’estrema sinistra si rapporta all’estrema destra. E per prima cosa occorre criticare con la massima chiarezza e decisione quello che viene chiamato, nel gergo dell’estrema sinistra, “antifascismo militante”. Si tratta della scelta politica di contrastare in tutti i modi le manifestazioni pubbliche dell’estrema destra: sia con pressioni sulle autorità locali, sia con contromanifestazioni che degenerano facilmente nello scontro di piazza. Se è chiaro quanto abbiamo fin qui detto, appare evidente come questa scelta di contrasto totale, di “tolleranza zero”, appaia completamente stupida. La destra radicale è oggi una realtà ultraminoritaria, di nessuna rilevanza politica, le sue manifestazioni portano in piazza poche decine o poche centinaia di persone, e non si vedono segnali che questa situazione possa cambiare in futuro
[2]. Queste considerazioni di per sé dovrebbero far nascere forti sospetti verso la posizione di chi ritiene accettabile lo scontro di piazza per impedire iniziative di nessuna rilevanza politica. Ma c’è di più. C’è il fatto che mentre l’estrema sinistra si balocca con l’antifascismo militante, i governi di centrosinistra e le forze politiche che li sostengono, compresa la cosiddetta “sinistra radicale”, accettano di essere i gestori di politiche economiche, sociali, militari, devastanti per i ceti subalterni del nostro paese. I governi di centrosinistra accettano o favoriscono la distruzione dello stato sociale, la precarizzazione del lavoro, la riduzione della politica ad affare privato di una casta di privilegiati, non fanno nulla per contrastare il predominio della criminalità organizzata, collaborano alle aggressioni militari Usa, sono corrivi verso la politica dello Stato sionista. Ma le varie realtà che sostengono la politica dell’antifascismo militante (centri sociali, gruppetti vari di estrema sinistra) ritengono in generale possibile mantenere aperto un canale di rapporti, magari conflittuali, con i rappresentanti delle forze della sinistra (moderata o radicale), che sostengono questi governi. Appare così in massima evidenza il carattere onirico, completamente slegato dalla realtà, della politica dell’antifascismo militante. Infatti, nella realtà succede che precise scelte politiche da parte dei vari partiti di sinistra portano a conseguenze reali e concrete, conseguenze che disegnano una realtà sociale totalmente contraria a quegli ideali che l’estrema sinistra dice di avere; nella realtà succede anche che esistono piccoli movimenti di estrema destra di nessuna importanza e nessuna rilevanza. Se questa è la realtà, è evidente quale siano le scelte politiche razionali, per chi propugni gli ideali che l’estrema sinistra dice di avere: rottura netta e definitiva con tutte le forze politiche che sostengono i governi di centrosinistra, opposizione intransigente a tali governi, indifferenza verso le insignificanti realtà politiche di estrema destra. Ma non è questa la politica dei sostenitori dell’antifascismo militante. Ne concludiamo che l’antifascismo militante è una politica completamente slegata dalla realtà, completamente onirica e irrazionale. Resterebbe da capire a quali impulsi risponda. Detto in breve, esso sembra una conseguenza del fatto che per la sinistra, moderata, radicale o estrema, conta molto di più l’appartenenza della verità e della realtà. La sinistra, anche estrema, ritiene possibile discutere con D’Alema ma non con l’estrema destra perché in sostanza D’Alema, indipendentemente da quello che fa, appartiene alla “nostra tribù”, mentre l’estrema destra è per tradizione la tribù nemica. Le manifestazioni dell’antifascismo militante, che arrivano agli scontri di piazza per impedire un raduno di qualche decina o qualche centinaio di fascisti privi di qualsiasi peso politico, sono in sostanza riti tribali nei quali la tribù ribadisce la propria identità tramite la rappresentazione spettacolare dell’ostilità verso la tribù avversaria[3].
Un altro aspetto di questa politica antifascista da criticare con fermezza è l’incapacità, da parte dell’estrema sinistra, di accettare un dialogo intellettuale con gli intellettuali dell’estrema destra, o provenienti da quell’area. Stiamo parlando adesso, si badi bene, di dialogo e confronto intellettuali, non di alleanze politiche. Dovrebbe essere ovvio che il dialogo e il dibattito intellettuali si fanno, in linea di principio, con tutti. Nel caso dell’estrema destra, o di persone provenienti da quell’area, gioca a favore di questo dialogo il fatto che su molti temi c’è una evidente assonanza fra le posizioni apparentemente contrapposte: critica dell’imperialismo Usa, critica del capitalismo e del modello umano che esso propone, antisionismo, ecologismo: su tutti questi temi ci sono affinità fra settori dell’estrema destra, o persone provenienti da tale area, e settori dell’estrema sinistra, affinità che suggeriscono come un confronto e un dialogo intellettuali potrebbero avere qualche utilità. L’estrema sinistra appare invece totalmente chiusa rispetto a un dialogo di questo tipo. Questa chiusura è tanto più incomprensibile quando è rivolta verso intellettuali che, pur provenendo dalla destra radicale, hanno da tempo dichiarato il proprio superamento di quella appartenenza. Molto spesso intellettuali di questo tipo (come Marco Tarchi o Alain de Benoist) vengono criticati non per quello che dicono ma perché si suppone un loro essere “di destra” a prescindere dalle loro prese di posizione pubbliche, come se queste ultime rappresentassero una specie di inganno.
Cerchiamo adesso di capire quale sia l’errore in questo atteggiamento. Si tratta di una profonda incomprensione di cosa sia una discussione razionale. In una discussione razionale si confrontano argomenti, non persone. Si discute della validità di una tesi, degli argomenti che la sostengono e di quelli che la combattono, non di cosa pensano “veramente” le persone che esprimono quelle tesi e quegli argomenti. La persone, i singoli individui, nella discussione razionale esistono solo come individui che esprimono argomenti. Per dirlo nella maniera più chiara possibile: in una discussione razionale, ognuno è quello che dice di essere.
Facciamo un esempio. E’ noto che la teoria cosmologica oggi più accreditata è quella del big bang, ed è noto che in passato era stata avanzata una teoria alternativa, quella dello stato stazionario. Tale teoria è stata abbandonata di fronte all’evoluzione delle scoperte empiriche e delle analisi teoriche che portavano argomenti a favore della teoria del big bang. Possiamo immaginare convegni scientifici nei quali i sostenitori delle due teorie si danno battaglia, e nei quali, col passare degli anni, le voci a sostegno della teoria dello stato stazionario diventano sempre meno numerose. Immaginiamo ora un convegno di astrofisica nel quale l’ultimo grande sostenitore della teoria dello stato stazionario, il professor X, prende la parola per dichiarare che la mole di dati sperimentali a favore della teoria del big bang, come pure la difficoltà di inquadrarli sul piano teorico all’interno della teoria dello stato stazionario, lo hanno convinto ad abbandonare quest’ultima per abbracciare la prima. Quale sarebbe la reazione della comunità degli studiosi? E’ chiaro che vi possono essere reazioni diverse: qualcuno dirà “finalmente un grande scienziato come il professor X si è convinto della verità delle nostre teorie e ci aiuterà a svilupparle”, qualcun altro penserà “finalmente il vecchio rimbambito ha capito di aver detto un mucchio di cavolate, meglio tardi che mai”. E’ però assolutamente certo che nessuno farà mai un discorso di questo genere: “attenzione perché il professor X ha detto di aver cambiato idea ma in realtà questo non è vero, la sua è solo una finzione, egli vuole infiltrarsi nelle file dei sostenitori del big bang per qualche sua oscura manovra”. Una reazione del genere è assolutamente impensabile: se il professor X dichiara di abbracciare la teoria del big bang, non c’è assolutamente altro che deve fare, per essere considerato un sostenitore della teoria del big bang. Non deve portare nessun’altra prova: in un dibattito razionale ognuno è quello che dice di essere. Ed è lo stesso in un dibattito razionale sulla politica: ognuno è quello che dice di essere, è fascista chi dice di esserlo, cioè chi porta argomenti a favore del fascismo, così come è comunista o liberale, nazionalista o antisemita chi dice di esserlo.
E tutto questo è legato alla natura profonda del lavoro intellettuale, che è lavoro di pensiero e parola. L’azione di un intellettuale consiste nelle sue parole. Un intellettuale studia un problema, ci ragiona, arriva a delle conclusioni, le esprime con scritti e discorsi, e spera così di convincere qualcuno. Se ci riesce, è questa la sua azione. Tutta l’azione dell’intellettuale consiste nell’opera di convinzione tramite la parola. L’azione dell’intellettuale, in quanto tale, è tutta pubblica. Non c’è nulla di nascosto. Perciò se un intellettuale afferma pubblicamente, in scritti e discorsi, di aver abbandonato la destra, egli non è più di destra, e non deve portare nessun’altra prova. In un dibattito intellettuale, ognuno è quello che dice di essere.

* Ringrazio Massimo Bontempelli per i suggerimenti che mi hanno permesso di correggere alcune imprecisioni. Tutte quelle rimaste sono ovviamente mia esclusiva responsabilità.
[1] J.Diamond, Collasso, Einaudi 2007, pag.9.
[2] E’ vero che talvolta vi sono episodi di violenze e aggressioni provenienti da ambienti dell’estrema destra. Data l’insignificanza politica dell’estrema destra, si tratta in sostanza di problemi di ordine pubblico, che vanno affrontati chiedendo agli organi dello Stato preposti alla sicurezza dei cittadini di fare il loro mestiere.
[3] Il fatto che la sinistra abbia a proprio fondamento un meccanismo di appartenenza che oscura la comprensione della realtà è stato analizzato in un recente testo, al quale mi permetto di rimandare: M.Badiale-M.Bontempelli, La Sinistra rivelata, Massari 2007.

** Marino Badiale è docente di analisi matematica presso l'Università degli Studi di Torino. Ha pubblicato libri e articoli di riflessione su diversi aspetti della cultura e della politica contemporanee. Di recente è uscito, in collaborazione con Massimo Bontempelli, il testo "La sinistra rivelata", edizioni Massari 2007.