venerdì 15 agosto 2008

LA POLITICA DI PUTIN

La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.E chi è?Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche). A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3). Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili. Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.
Maurizio Blondet

lunedì 11 agosto 2008

ISRAELE HA PERSO ANCORA

Un «mercenario americano» sarebbe stato catturato nell’Ossezia del Sud mentre combatteva per i georgiani in qualità di «istruttore». Lo riporta la radio locale Osetinskoe Radio, che precisa: l’uomo faceva parte di un gruppo di stranieri armati catturati vicino al villaggio di Zar, che si trova lungo quella che gli osseti russofoni considerano «la via della vita», perchè vi passano i rifornimenti dalla Russia. Il personaggio catturato sarebbe pure negro, e sarebbe stato portato a Vladikavkaz «per accertamenti sui motivi della sua permanenza in Ossezia».La notizia non è controllata. Ma viene fra molte informazioni che confermano la presenza di combattenti stranieri. Secondo Eduard Kokoity, «presidente» della Sud-Ossezia citato dall’agenzia russa RIA, «dopo i combattimenti abbiamo trovato numerosi cadaveri di cittadini balttici ed ucraini; in seguito sono stato informato che corpi di diversi negri sono stati trovati sulla scena della battaglia presso la scuola n. 12» (1).In attesa di conferme, ce n’è già più d’una da parte giudeo-occidentale. Il giorno 8 agosto, quando i kartuli sono partiti all’attacco convinti di una rapida vittoria sugli osseti, il ministro georgiano Temur Yakobashvili, che è ebreo come indica il suo nome («figlio di Yakov»), e parla un ebraico fluente, esultava pubblicamente: «Gli israeliani devono essere fieri dell’addestramento che hanno dato ai soldati georgiani...Ora speriamo nell’assistenza della Casa Bianca, perchè la Georgia non può vincere da sola».Ancor più chiaramente l’agenzia israeliana Debka (un noto centro di disinformazione del Mossad), lo stesso giorno, sicura della vittoria, annunciava: «Cingolati e fanteria georgiani, aiutati da istruttori militari israeliani, nella mattinata hanno conquistato la capitale della Sud-Ossezia secessionista, Tskhinvali». E, citando «le sue esclusive fonti militari» era in grado di spiegare quale sia «l’ìnteresse di Israele nel conflitto» (2).Eccolo:«Gerusalemme possiede un forte interesse nella pipeline che porta il gas e greggio del Caspio al porto turco di Ceyhan, senza bisogno di usare le reti di gasdotti russi. Sono in corso intensi negoziati tra Israele, Turchia, Georgia, Turkmenistan e Azerbaijian affinchè l’oleodotto raggiunga la Turchia e da lì il terminale petrolifero di Israele ad Ashkelon e di seguito il porto di Eilat sul Mar Rosso. Da lì, super-petroliere possono portare il gas e il greggio in estremo oriente attraverso l’oceano indiano».Dunque la Vittima Eterna non vuole solo assicurarsi il petrolio per i suoi consumi interni, bensì partecipare al grande business, far dipendere l’Asia dalla sua buona volontà di fornitrice.Debka continua: «L’anno scorso il presidente georgiano ha assunto da ditte israeliane di sicurezza (sic) alcune centinaia di istruttori militari, si stima oltre mille, per addestrare le forze georgiano in tattiche di commando, e di combattimento aereo, navale e corazzato. Hanno fornito addestramento in intelligence militare e sicurezza per il regime. Tbilisi ha anche comprato armamento e sistemi elettronici d’intelligence e di puntamento da Israele. Questi istruttori sono fortemente impegnati nella preparazione della armata georgiana alla conquista della capitale del Sud-Ossezia».Non basta. Debka rivela che «nelle scorse settimane Mosca ha ripetutamente chiesto a Gerusalemme di smettere la sua assistenza militare alla Georgia, fino a minacciare una crisi della relazioni bilaterali. Israele ha risposto che l’assistenza fornita a Tbilisi era solo difensiva».Se le cose stanno così, la conclusione è inevitabile: non è il dittatore di Kartulia, bensì Israele ad aver subìto una cocente sconfitta in Ossezia. Una replica del fallito attacco contro Hezbollah, e per gli stessi motivi: cieca presunzione della propria superiorità, credenza nella propria stessa propaganda (Hezbollah: belve arretrate, Russia: tigre di carta incapace di riempire il vuoto lasciato dall’URSS), e soprattutto, il risultato della «americanizzazione» dell’ex-glorioso Tsahal, da snella armata di aggressione-lampo a dinosauro dalla logistica pesante «made in Pentagon», con ricorso a «ditte» di mercenari (privatizzazione ed outsourcing della guerra: la bella trovata di Rumsfeld), e dalla tipica ottusità tattica made in USA: una vera tradizione questa, che risale alla guerra di Corea, continua ostinatamente e senza rimedio in Vietnam, e di cui si vedono gli ultimi effetti in Iraqe Afghanistan.Ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione gli europei, il Berlusconi compreso: tutti accaniti a chiedere ragione a Putin della reazione «sproporzionata» in Ossezia, se non fossero i maggiordomi del Katz dovrebbero chiedere a «Gerusalemme» (ma la capitale non era Tel Aviv?) qualche ragione della sua presenza militarista in Georgia, apparentemente col coinvolgimento diretto di suoi mercenari (oltre a qualche povero negro americano) negli scontri. E’ legale? Che cosa dice in proposito il famoso diritto internazionale?Invece avviene il contrario, naturalmente.Battezzata «Operation Brimstone» (Operazione Zolfo), una delle più vaste esercitazioni aeronavali occidentali del dopoguerra è finita il 31 luglio nell’Atlantico. La grande manovra ha visto impegnati un «supergruppo di battaglia» portaerei USA, un gruppo di spedizione USA con portaerei, un gruppo di battaglia portaerei della Royal Navy britannica, un sottomarino nucleare da caccia francese, e un gran numero di incrociatori, fregate e cacciatorpediniere americani, nella parte delle «forze nemiche» (3).Lo scopo dichiarato di queste grandi manovre della più grande Armata occidentale dai tempi della prima guerra all’Iraq è attuare il più severo blocco navale attorno all’Iran. Benchè produttore di petrolio, l’Iran ha limitate capacità di raffinazione; importa il 40 per cento delle benzine e carburanti di cui ha bisogno. Bloccare l’arrivo delle benzine e carburanti è giudicato il solo modo di colpirne gravemente l’economia. L’Europa dunque partecipa a questo blocco, che è un atto di guerra secondo il diritto internazionale. Ancora una volta, è la scuola israeliana a dettare la legge di guerra: il trattamento-Gaza anche per gli iraniani, la «cura dimagrante».Ma la quantità e il volume di fuoco della flotta messa in campo non può essere diretta solo all’Iran. E’ volto a dissuadere ben determinati paesi - la Russia e la Cina, che è uno dei maggiori clienti del petrolio iraniano - ad opporsi al blocco, magari scortando con proprie navi militari le petroliere con i prodotti raffinati acquistati da Teheran.Quanto alla Russia, si tratta di tenere sotto schiaffo, e dissuadere dall’intervenire, la flotta del Mar Nero recentemente spostata nel Mediterraneo, con base nel porto siriano di Tartus: guidata dalla portaerei moderna «Ammiraglio Kusnetsov» (che porta una cinquantina di caccia e una decina di elicotteri) e l’incrociatore lanciamissili «Moskva».Nei giorni scorsi la Moskva, accompagnata dalla corvetta Smetlivy sono state spostate nell’area orientale del Mar Nero, davanti alla Georgia, con il dichiarato scopo di assistere gli osseti in fuga davanti all’invasione georgiana del loro territorio: almeno 30 mila persone su 70 mila, terrorizzati dalle atrocità di cui sono stati testimoni.Nei loro racconti, parlano di bombe a mano tirate dai soldati georgiani nelle cantine dove gli abitanti si erano rifugiati dai bombardamenti, di soldati russi della forza d’interposizione feriti, catturati e giustiziati sommariamente, di un inizio di pulizia etnica (il presidente Medvedev ha parlato di genocidio). Le oltre duemila vittime civili paiono confermare: non si è cercato di fare un’operazione militarmente «pulita», bensì di spargere il terrore con massacri, per spingere alla fuga la popolazione.Ancora una volta, è la scuola israeliana all’opera: il «trattamento Deir Yasin». E la Francia del Sarko-katz partecipa all’avventura con un sommergibile atomico. Visto che Berlusconi è spesso al telefono con Sarko, che è pure presidente semestrale della UE, non potrebbe chiedergli ragione di tanto impegno? E magari una telefonata di richiesta di chiarimenti «all’amico Bush» su quei negri ammazzati e catturati in territorio altrui? Invece no: chiede moderazione solo all’«amico Putin».Le grandi manovre giudaico-cristiane («Brimstone» nell’Atlantico, e «Immediate Response» in Georgia, entrambe finite il 31 luglio, a ridosso dell’attacco di Kartulia agli osseti) fanno pensare che Saakashvili, dopotutto, non abbia agito di testa sua; l’attacco deliberato pare iscriversi in un più vasto piano concertato di provocazione ed affermazione di potenza, per il dominio totale delle fonti petrolifere. Una strategia alla Brzezinsky, sul «grande scacchiere» geopolitico, contro i nemici storici reali, Russia e Cina.Se è così, mai nome fu più adatto ad una esercitazione: «Operazione Zolfo» ha l’intento di incendiare definitivamente l’area del petrolio del Golfo. In qualche modo, la strategia Us-raeliana sembra quella di reagire alle proprie sconfitte aumentando la posta.Ci sono brandelli di informazioni, che non troverete sui nostri media alla Riotta, e che paiono confermare questa volontà di escalation.
• Il ministero degli Esteri ucraino ha dichiarato che l’Ucraina si riserva il diritto di impedire il ritorno della flotta russa del Mar Nero, ora impegnata al largo della Georgia, nei porti ucraini (4). In base ad un accordo firmato fra i due paesi, la flotta bellica russa ha il diritto di usare i porti ucraini fino al 2017. Evidentemente la «democrazia» ucraina, che deve la sua esistenza a Washington non meno della «democrazia» in Kartulia, arde dalla voglia di impicciarsi nel conflitto, troppo «limitato» secondo i gusti del suo padrone a Washington. Bisogna ampliarlo, e l’Ucraina si presta.• Gli americani si apprestano a trasportare, con ponte aereo, metà del contingente di Kartulia che è impegnato in Iraq, e che ne fa il terzo dei contingenti alleati, dopo americani e britannici. Mille uomini subito «entro 96 ore», gli altri mille al più presto, ha detto il colonnello Bondo Maisuradze: «Gli USA ci forniranno il trasporto» (5). Dunque il Pentagono, mentre chiede il cessate il fuoco a Putin, prepara il suo satellite georgiano ad un qualche contrattacco. E in ogni caso, il ponte aereo dell’USAF espone gli aerei americani al contatto con le armi russe: una provocazione aperta, magari alla ricerca di un «incidente».• Nel lontano Kirghizistan, in una casa di Bishkeh (la capitale) affittata a cittadini americani con passaporto diplomatico, la polizia locale - allertata dai vicini - ha trovato un vero arsenale: 53 armi da fuoco anche «di grosso calibo» oltre a «lanciagranate, fucili mitragliatori, pistole, carabine da cecchino e 15 mila proiettili». I cittadini americani che sorvegliavano le armi sono «due dipendenti dell’Ambasciata USA e dieci militari americani nel paese, dicono loro, per addestrare le forze speciali kirghize». Un dettaglio che il ministro degli Interni kirghizo, Temirkan Subanov, e il ministero della difesa, negano con forza. C’è un accordo con gli USA, dicono, per addestrare gli agenti anti-droga (l’oppio afghano passa di lì), ma l’addestramento non richiede nè contempla armamento pesante. L’ambasciata USA ha emesso un comunicato in cui insiste: l’arsenale era lì con il permesso e su richiesta del governo kirghizo (6).Insomma l’America sta rimestando attivamente nel torbido, incitando i suoi satelliti e provocando, in tutta la vasta area d’influenza russa. L’Europa - tramite le sue cosche non-elette - è della partita, all’insaputa dei suoi cittadini.I nostri media non ci informano del fatto che siamo già schierati nella guerra di aggressione più inaudita della storia, a provocare il nostro massimo e più affidabile fornitore di prodotti energetici. Al contrario, titolano «Putin piega la Georgia» (Repubblica), «Mosca cieca» (Il Manifesto), ed evocando l’invasione sovietica a Praga nel 1968.Quanto al Papa, invoca la pace in nome delle «comuni radici cristiane», come se il cristianesimo c’entrasse qualcosa: che analisi fanno, in Vaticano? Hanno delle informazioni proprie? Che ideologia sposano? La giudaizzazione della Chiesa la porta alla rovina mentale.Si vede che siamo sotto protettorato di Katz, con direttori di tg del Katz, e giornali di sinistra molto del Katz.

LACCHE' CON KIPPA'

Come ammette - incredibile - persino la grande stampa italo-sionista,da Repubblica al Corriere, non solo gli USA ma direttamente Israele hanno contribuito al riarmo (a pagamento, con dollari USA) della Georgia. Gli ebrei si infilano immediatamente in tutti gli staterelli dove gli USA aprono la strada, si veda il Kurdistam iracheno. Ma che siano armi e istruttori israeliani in Georgia non dà fastidio, bisogna far finta di niente. La cosa più scandalosa tuttavia è ancora una volta la disinformazione propagandistica e spudorata di giornali e televisioni sui fatti georgiani: nascondo o minimizzano il fatto che sono stati i georgiani ad attaccare per primi, fingono di non sapere che un'intera città, la capitale dell'Ossezia è stata rasa al suolo e poi occupata dalle truppe del folle georgiano, prima di essere liberata dai russi. Nelle gigantografie fotografiche in prima pagina di CdS e Repubblica si vedono le vittime piangenti "dei bombardamenti russi"(uguale tecnica in Medio Oriente, dove un caduto ebreo occupa dieci volte più spazio di una famiglia palestinese massacrata in casa), mentre Bush, che ha l'incredibile faccia di bronzo di intimare a Putin di "rispettare i confini", viene presentato come un apostolo della pace . La tragedia per le nazioni europee è che la lobby ebraica nell'informazione come nella finanza e nella politica ormai domina ed ha ucciso alla radice il dibattito politico, soprattutto in campo internazionale e, come ben sanno da secoli gli studiosi di politologia, la politica estera è l'essenza della politica. Conseguentemente, di fronte ad ogni conflitto, l'opinione pubblica viene indotta a chiedersi non quali siano gli interessi del suo paese, ma quelli di Israele. La sicurezza di Israele - Stato fondato sulla rapina e l'aggressione - deve essere il problema principale di italiani, tedeschi, francesi ecc. Siamo quotidianamente informati su ciò che accade in Israele più che a casa nostra, Israele ci deve entrare nella mente e nel cuore, Israele ueber alles. Ma gli interessi di Israele e della lobby ebraica sono esattamente opposti a quelli europei: in Medio Oriente come nei rapporti con la Russia. Una vera ripresa economica, una rinata sovranità, una politica estera non telecomandata da Tel Aviv passano per una netta riduzione del potere della lobby e una nuova alleanza con la Terza Roma, Mosca. E' ridicolo immaginare che un Berlusconi, un Veltroni, un Bossi, un Casini possano davvero fare "politica" cioè fare delle scelte che facciano uscire il paese dallo stato di colonia cui è ridotto (anche scelte economiche, ovviamene): non ce n'è uno che, al di là di sventolii rituali di bandiere italiane, celtiche, padane o da fiera paesana, abbia il coraggio di dire che al di sopra di tutto non c'è Israele ma ci sono gli interessi nazionali. E non è un caso che tutti i maggiordomi politicanti che vanno al "potere" (un potere da lacché di lusso) si rechino prima in ginocchio alla Casa Bianca e poi vadano a frignare davanti al Muro del pianto in Israele , snocciolando le solite litanie olocaustiche con il giuramento, all'ombra di una kippà regolamentare, di difendere sempre lo stato d'Israele (anche a costo di mandare a Patrasso l'Italia, si potrebbe aggiungere). Il colmo dell'imbecillità recente, che dà un'idea del rimbambimento patologico persino fra gli anticorpi, è poi la processione a Colonia di tutte le destre "nazionaliste" europee per bloccare l'edificazione di una moschea. E' il summit politico che quei microcefali riescono a concepire. Non hanno capito, gli idioti, che la Sinagoga è ben più ostile a qualsiasi forma di sovranità nazionale (beninteso in Europa) che non una Moschea. Tutte le moschee d'Europa, per antipatiche che possano essere per qualcuno, incidono sulla politica europea neanche per il 5%. Le sinagoghe incidono per il 50 e dispongono del potere di veto. Tra non molto i megafoni della propaganda sionista scateneranno l'attacco all'ennesimo "nuovo Hitler" , cioè Putin. Appena avranno regolato i conti con Ahamadinejad. E noi, che avremmo tutto l'interesse a stare con la Russia e il mondo arabo che non ci minacciano affatto, anzi rappresentano una eccellente possibilità per il futuro, andremo invece a rimorchio dell'asse americano-ebraico. Per i superiori interessi di Israele e della piovra sionista, non per quelli dei nostri figli.

AGGRESSIONE GIORGIANA

Quando si distruggono gli imperi - anche cattivi - quel che riempie il loro vuoto è sempre peggio. La scomparsa di un impero lascia sempre una zona di instabilità, a volte per secoli (il Medio Oriente in fiamme è un esito della scomparsa dell’impero ottomano) e il motivo è ovvio. Al posto del «comando» imperiale, che è sempre in qualche misura responsabile, pretendono di «comandare» capi locali, provinciali o addirittura tribali, retrogradi, avventuristi e irresponsabili fino all’infantilismo. I nuovi «comandanti» salgono in cattedra di fronte al mondo, fanno la voce grossa, si sentono finalmente «liberi» e «sovrani». In realtà, sono solo vermi che pullulano dentro la grande carcassa dell’impero morto.Mikhail Saakashvili, portato al potere da una «rivoluzione delle rose» interamente pagata dalla CIA (il fatto è ampiamente documentato) è stato votato dai georgiani - cinque milioni in tutto, una provincia - perchè era il più nazionalista di tutti loro. Immediatamente, aizzato da Washington, costui ha chiesto l’adesione alla NATO. Altrettanto immediatamente, ha vietato la lingua russa ed ha abolito da tutte la scritture pubbliche e private i caratteri cirillici; ma non per sostituirli coi caratteri latini che si usano alla NATO, bensì con un alfabeto georgiano arcaico, prima reperibile solo in qualche antica lapide e decifrabile solo da qualche archeologo specializzato, e quasi certamente sconosciuto alla maggioranza assoluta dei georgiani stessi.Dunque, se il mondo deve occuparsi della Georgia, che impari la lingua e l’alfabeto kartuli (si chiama così, dal nome di un eroe mitico-capostipite). Saakashvili è riuscito a dare realizzazione al sogno o delirio che Bossi si limita covare, restituire i lombardi all’alfabeto celtico, un alfabeto magari di sua invenzione durante una notte di sbornie? I secessionismi e i particolarismi si nutrono sempre di qualche delirio arcaico.Siccome quello di Saakashvili è un secessionismo compiuto - un modello - sarà dunque istruttivo anche per i lombardi studiarne l’esito.A pochi mesi dalla sua elezione trionfale, Saakashvili ha trasformato la «democrazia» pagatagli dalla CIA in una dittatura personale; più precisamente, nella dittatura della sua tribù materna - letteralmente, il clan tribale di sua madre - ai cui membri ha distribuito cariche, favoritismi e mazzette della corruzione dilagante.Nel novembre scorso, ci sono state dimostrazioni di piazza contro il dittatore tribale; i neo-cittadini già ne hanno abbastanza del Gran Kartulo; ma Saakashvili ha scatenato contro i concittadini kartvelebi (così d’ora in poi si devono chiamare) le sue guardie pretoriane, dotate di inusitata ferocia e di armamento e addestramento pagato da Washington. Tipico dei vermi che pretendono di «comandare» agitandosi nella carcassa di un impero putrefatto è dichiararsi vittime storiche dell’impero defunto: benchè abbia dato la nascita a Stalin, ed abbia sempre avuto georgiani nel CC del PCUS, la nuova Georgia si dichiara innocente del sovietismo. Non c’entra, non c’è mai entrata, l’ha sempre combattuto scrivendo di nascosto in kartuli.Naturalmente, i vermi prediligono la storia antica (specie quella così antica da non aver lasciato tracce, come i Celti in Lombardia) rispetto a quella recente. Così, la Georgia nuova ha deciso di ignorare il fatto che 70 anni di unità sovietica hanno mescolato popolazioni e ha creato - soprattutto - una essenziale dipendenza economica delle piccole regioni dell’impero dalle più grandi.La Georgia contribuiva all’impero sovietico con due prodotti di cui non sfuggirà l’importanza strategica: una produzione di vini di seconda qualità che solo il cittadino sovietico trovava bevibili (sempre meglio dell’antigelo per motori), e una certa acqua minerale Borzhomi. Saakashvili ha preteso che Mosca continuasse a importare i suoi vini e la sua acqua minerale, allo stesso tempo dichiarandosi indipendente dalla Russia da cui importava tutto il resto, a cominciare dal petrolio con cui riscalda le case georgiane nei rigidi inverni. E pretendeva che i cittadini di lingua russa, messi in Abkhazia e in Ossezia nel grande tragico rimescolamento di popoli staliniano, imparassero il kartuli e inneggiassero al clan di sua mamma.Su un altro punto il Bossi kartuli è molto più concreto del nostro Saakashvili «padano»: il nostro straparla di «fucili» e «proiettili», il georgiano ha speso il 70% del prodotto interno lordo del suo Paese di 5 milioni di abitanti in miseria, in armamento pesante (1). Si è fatto un esercito di 17 mila uomini; ne ha mandati 2 mila in Iraq a fianco dell’Alleato Americano; ciò allo scopo di trascinare, poi, l’Alleato Americano nella guerra che intende sferrare contro la Russia, perchè questo è il suo scopo ultimo.Giudicate voi: è o non è una Grande Politica Mondiale? Il particolarista perfetto, per quanto provinciale e tribale sia, ha infatti ambizioni mondiali. Nel caso, scatenare la guerra atomica fra due superpotenze. E’ così che i vermi secessionisti si sentono grandi; provocando grandi disastri.Il guaio è che Saakashvili ha trovato l’appoggio dell’altra demenza, quella che impera a Washington. La quale ha usato la Georgia come zona di transito del petrolio del Caspio, che non vuol far passare dalla Russia: le condutture della pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan, finanziate da BP, Total ed Eni, servono allo scopo, e dovevano fornire al capo kartuli un flusso di royalty un po' più sostenuto dell’export di vinello e acqua minerale, da distribuire alla tribù materna.Washington preme per far entrare la Kartulia nella NATO; l’Europa non dice di no, ma nicchia, e trascina i piedi; Washington brucia le tappe e organizza una esercitazione militare congiunta con truppe americane e truppe kartuli in territorio kartuli, a ridosso della Russia; questa esercitazione è avvenuta ed è finita solo il 31 luglio, dunque pochi giorni fa (2) e si è chiamata, per volontà del Pentagono, «Immediate Response» (vedi «Provocazioni contro Mosca», EFFEDIEFFE.com, 21 luglio). Una chiara provocazione ai russi, dopo il piazzamento dei missili in Polonia e la minaccia di espellere la Russia dal G-8.Ciò ha chiaramente incoraggiato nei suoi progetti il Gran Kartuli. Saakashvili ha preso l’iniziativa dell’aggressione: ha mandato le sue truppe a bombardare l’Ossetia russofona, ed è apparso in TV tenendo dietro le spalle la bandiera stellata dell’Unione Europea di cui non fa parte, con accanto il vessilo della NATO di cui non è membro. Ha fatto tappezzare Tbilisi, la sua capitale, di manifesti dove appare a fianco di George W. Bush.Come tutti i Bossi, anche lui vive in un mondo di fantasia, di ampolle sacre su sacri fiumi, di antichi eroi kartuli del 12mo secolo o dell’età della pietra. Saakashvili si frega le mani: adesso gli americani interverranno a fianco del loro più forte alleato, Mosca ha i giorni contati. Ordina a Washington: rimandatemi i 2.000 uomini che vi ho spedito in Iraq, ora mi servono per marciare su Mosca.Probabilmente nessuno ha tradotto in caratteri kartuli una frase di Kissinger, che dovrebbe essere invece scolpita molto in grande a Tbilisi: «Nessuna grande potenza si suicida per un alleato minore» (a meno che non si chiami Katz). Anzi, due frasi di Kissinger. La seconda è: «Nessuna grande potenza si ritira per sempre». Parecchie decine di carri armati russi occupano la Sud Ossezia. Navi russe nel Mar Nero si predispongono a chiudere Kartulia in un blocco navale (3).Saakashvili è scomparso in un bunker. L’aiuto che riceve è un po' di propaganda: ecco, vedete com'è cattivo Putin, dice Bush, e ripetono i Frattini europoidi, e tutti i media coi loro camerieri e ragazzi-spazzola.Devo dire che la propaganda non resta senza effetto sulla stupidità egemone. Una mia amica altolocata, che lavora per l’ONU, mi telefona tutta indignata: Putin ha bombardato Tbilisi, una capitale straniera di uno Stato sovrano, violando il diritto internazionale; mentre Saakashvili, facendo strage in Sud-Ossezia, ha agito nel suo diritto, perchè il Sud-Ossezia è territorio georgiano, un «affare interno».Provo a rinfrescarle la memoria: ha presente che gli USA hanno invaso e stanno occupando due Paesi che non gli hanno mai dichiarato guerra nè mai costituito una minaccia per Washington? Riesce, con uno sforzo, a ricordare che solo due anni fa, Israele ha bombardato la capitale di un Paese sovrano che pare chiamarsi Libano, devastandolo dalle fondamenta, con la scusa che doveva liberare quattro (dicesi quattro) soldatini israeliani catturati mentre penetravano in territorio libanese? E’ in grado di ricordare che un Paese che non ha mai aggredito nessuno, di nome Iran, è perennemente minacciato di attacco preventivo perchè sta sviluppando un’industria nucleare civile, cui ha diritto come firmatario dei Trattati di Non-Proliferazione? Viene forse invocato in questi casi il diritto internazionale?La risposta è: «Scusa, devo lasciarti perchè ho ospiti». Le signore dell’ONU hanno sempre ospiti nelle loro ville con piscina. Aperitivi, rinfreschi, alta società.Così, non riesco a cominicarle la mia ultima frase: dall’11 settembre 2001, la società Bush & Katz ha inaugurato una nuova fase storica globale. La fase in cui la violenza «è» il nuovo diritto internazionale. E' una fase nuova ma anche un grande ritorno dell’arcaico, la forza che crea il diritto.L’invasione non provocata e non motivata legalmente di Afghanistan (occupato da sette anni) e Iraq (occupato da quattro), come il bombardamento del Libano hanno creato un precedente giuridico internazionale. Di cui anche all’ONU si dovrebbero soppesare tutte le conseguenze.Naturalmente, la risposta di Mosca al Gran Kartuli - risposta adeguata nel quadro della nuova legalità internazionale - apre una fase pericolosa. Per noi europidi, che riceviamo dalla Russia il 25% del nostro fabbisogno energetico, per i nostri serbatoi e per i nostri riscaldamenti invernali: perchè noi europei abbiamo lasciato che la ditta Bush & Katz ci separassero fisicamente dal fornitore russo, lasciando che costituissero Stati-cuscinetto come l’Ucraina, la Polonia, e la Kartulia.Pericoloso per l’Iran (e dunque ancora per i nostri serbatoi e caloriferi), visto che la confusione nell’area di instabilità avvicina la tentazione di Katz di attaccare Teheran approfittando della confusione stessa. Negli scorsi giorni, due nuove portaerei USA, e un altro cacciatorpediniere americano «accompagnato da due navi israeliane» (4) non identificate sono entrati nel Golfo Persico, ad aggiungersi alla densa zuppa di flotte da guerra che Bush & Katz mantengono da mesi davanti alle coste iraniane; c’è da chiedersi come riescano a manovrare nello stretto di Ormuz.Mai siamo stati così vicini ad un gravissimo conflitto. Di cui non dobbiamo dimenticare di ringraziare i Solana, i Barroso, i Frattini, che si tengono stretti all’«alleato» che congiura alla nostra rovina come europei, anzichè formare una solida partnership europea con Mosca, dettata dal nostro reciproco destino manifesto. La guerra fredda non è stata mai così vicina a diventare rovente dai tempi della crisi di Cuba; allora l’impero sovietico si mostrò responsabile; oggi l’impero non c’è più, e nemmeno lo stesso grado di responsabilità. E' questo il vuoto che lasciano gli imperi spaccati.Di una sola cosa siamo (quasi) certi: la guerra non si espanderà partendo dalla Georgia. Lì, ha ragione Lavrov, il conflitto è e resta «limitato». Bush & Katz non alzeranno un dito per il loro servo Saakashvili. E' limitato in tutto e per tutto (5).Almeno una consolazione ci resta: quest’inverno, nel gelo del razionamento, non dovremo studiare al lume di candela l’alfabeto kartuli. Forse gli stessi georgiani tornerannno ai caratteri cirillici.